Luca Pizzolitto

Benvenuto/a sul sito di Luca Pizzolitto, autore e redattore di poesia.

Mi chiamo Luca Pizzolitto, m'interesso e mi occupo di poesia: leggo, studio e scrivo da più di vent'anni.

I libri più recenti che ho pubblicato sono Getsemani (peQuod, 2023), Crocevia dei cammini (peQuod, 2022), La ragione della polvere (peQuod, 2020), Tornando a casa (Puntoacapo, 2020).

Nel 2023, compaio all'interno dell'antologia Nord i poeti, vol. II, edita da Macabor.

Da fine 2021 dirigo la collana di poesia portosepolto per conto della casa editrice peQuod

Nel 2022 ho ideato e scrivo sul blog poetico bottega portosepolto.

Curo la rubrica «Discreto sguardo» per la rivista online Poesia del nostro tempo e «Polaroid - Istantanee di poesia» per FaraPoesia.

Sono nato il 12 febbraio 1980 a Torino, città in cui ancora vivo e lavoro come educatore professionale. 

Yari Bernasconi: tre poesie da "Nuovi giorni di polvere"




Da una stazione in disuso mi chiedi: dove vanno

questi treni veloci, incuranti del mondo?

Una volta credevo di saperlo, aggiungi, e mi lasciavo

accompagnare. Qualcuno mi aspettava.

*

Faccio diverse scoperte importanti, qui. 

Degli insetti

che non possono esistere, ma che ho trovato.

*

Ho molto tempo per pensare, però ci tengo poco.

Sono felice se vieni a trovarmi e stai con me:

tu sei la risposta e non parli mai. Anch'io

pronuncio sempre la mia ultima parola

dopo che tutti se ne sono andati.



**


Galway


Se c'è qualcosa di vero in questa strada, tra le case,

attorno ai corpi dei turisti che spingono all'entrata

dei locali, cantando con voci grasse, è tutto

nell'asfalto. L'asfalto levigato e la sua inerzia.

L'asfalto sotto i ciottoli, negli interstizi, nelle crepe.

Quell'asfalto ignorato.


Se c'è qualcosa di vero è già sbiadito, già trascorso.



**


Connemara


Sembri rinascere tra i prati e queste strade

dissestate, tracciate da fessure che si iniettano

fin sotto terra. Le pecore sono pecore, i muri sono muri:

scendi dall'auto, guardi intorno e qualcosa di vecchio

ritorna, un'impressione, un'evidenza di sempre,

un istinto. Non te ne accorgi ma cammini, mi chiami

per due volte, vieni, che è bello, si sta bene. Nient'altro.



 

Marco Ferri: tre poesie da "Come è passato il tempo"



C'è un'attesa, come sempre,

e il tempo ne assume

i lineamenti, l'esempio è il grigio

che s'intenebra e si raffredda.

Riordino quello che resta.

Finisco di togliere la polvere

che è notte. La ragione senza passione

diventa irragionevole.


Perché si chiude se penso

il senso di ogni parola?

Trova facilmente il freddo.

L'ho messo davanti a me, molte volte,

per guardarlo prima che faccia buio,

senza fretta. Così respiro

questo freddo, lo mangio, che toglie

alla voce un po' di buio.


Non mi stanco di camminare

nelle notti d'inverno per dare

agli occhi le occasioni di vedere

dietro le luci aperte

fino ai nervi, quando finalmente

la parola torna su con il suo

fiato, mi dorme vicino, arma

o cane, con il desiderio sbagliato

di sorprendere una voce dentro

quel torpore che naviga in pace.



**


Che piacere guardare  

senza pensare

l'insignificante modellarsi delle nuvole

prima del tramonto

quando ogni cosa perde forma e senso


soprattutto prima del tramonto

con gli occhi chiusi per il piacere di essere ancora qui

nonostante tutti gli orrori

nella piccola orbita

umana, accanto al vuoto



**


Quella cosa che non esiste

ha mangiato un'altra giornata.

L'ha divorata. Neanche l'ha masticata.

Ingoiata, hop, proprio così, e ha ancora fame,

mentre uno ripensa ai colori, ai tremori

quando era appena nata, quella luce

che sorgeva tenue e smagliata

e uno diceva che la giornata era lunga,

e l'avrebbe respirata piano

sognando. Ora un saluto agli amici

assiepati attorno al fuoco del camino,

che bevono il vino caldo e mangiano

le castagnole, e chiedono perché non resti.

Da solo nella pioggia leggera

porto con me, una strada dopo l'altra,

quella cosa che non esiste.
 

ANTICIPAZIONE | Rossella Renzi, "Disadorna" (peQuod, collana portosepolto)

 


Siamo l’occhio spalancato sul fuoco

procediamo con passi tremanti

una leggera carezza delle mani

per turbare la muta limpidezza

per rispondere al saluto dell’acqua.



**



Camminiamo su questo sentiero

tra pietrisco, frammenti di ali

le impronte dei bambini

per gioco, quella voglia di fare

di inventare la fuga

il risveglio del volo.

Ma qui l’offerta è un giaciglio vuoto

la porta del tempio si spalanca

solamente a chi prega e non chiede.



**



Essere nudi nel mondo

come forma che prende la materia

come carne che si pone in ascolto

quel gesto della mano che trema.



**



L’inverno dura ancora pochi giorni

lo sento battere gli ultimi colpi

esalare dalla terra il respiro

nessuno sa dire dove andremo.



**



Questa non è la mia casa

non ci sono fiordi, cieli pesanti

non ci sono cimiteri sul mare

dove leggere pomeriggi interi.


Non è la mia casa, non ci sono

le urne con il segreto del sonno

l’antico enigma della controra

l’abbraccio sempre nudo del vento.


È un suono lontano la casa

l’odore del mirto, dell’agrumeto

che incanta le mani bambine

i lari che vegliano all’orizzonte.

ANTICIPAZIONE | Annalisa Ciampalini, "Tutte le cose che chiudono gli occhi" (peQuod, collana portosepolto)

 


Le seguenti 5 poesie sono tratte dalla silloge "Tutte le cose che chiudono gli occhi", che uscirà nel mese di aprile 2022 per la casa editrice peQuod, all'interno della collana portosepolto.



I nostri corpi complementari

il tuo chiarore

la mia esile oscurità.

Tua è la pietra dell’inverno

il seme dormiente nel giaciglio scuro

le mani che sanno dove premere.

A me resta l’albero lontano

il bianco che si accumula piano

il fiore pallido

esitante tra le dita.


**


All’improvviso scende un grande silenzio

e un ordine pallido

si dispone nella casa.

I pasti serali hanno la disciplina delle cose fredde

dei corpi tenuti a distanza. Nessuno

guarda la sedia vuota al suo fianco.

Lì c’è un luogo in cui la luce arriva piano

il punto che ci guarda

e va taciuto.


**


La fragilità sta nel verso che non dura

scriverlo su carta

voltarsi per leggerlo di nuovo

e il segno muore.

Il verso frontale volitivo e pieno

la parola stretta sotto la palpebra che duole

e poi il vuoto.

A lato, tutto ciò che respira

e amorosamente vive nella tensione del presente

da me discorde, spalancato

fioritura piena, occhio distratto

che mi vede passare.


**


STATICA


La luce che non porti con te

si depone nelle cavità

cerca sguardi complici

attende

di essere tradotta.


*


C’è poi chi resta

nel punto dolce del richiamo

lo nomina

e indugia nel suo segno.

Questo crescere l’uno dentro l’altro

fino a coincidere.


Alessandro Agostinelli: tre poesie da "Il materiale fragile"



l'anima nel vento



a volte, la notte

giro gli occhi verso ovest,

un aereo scende su pisa

nella stessa direzione della mia auto.


sento una destinazione che si compie,

come uno dei posti

dove andrò comunque.


si sceglie una conduzione separata,

ma costante, un lontano

presente come un destino

che ho imparato a riconoscere

dagli atlanti del mondo,

si aprono al centro del torace

mentre comincia a soffiare il vento,

un'anima.



**



geometria delle passioni



la notte

sulla via del ritorno

tutto si fa chiaro,

la sabbia scende

nella clessidra,

poi torna la gestione

delle lenzuola,

l'economia del giorno.

e il piacere dell'intimità

si mescola nel mondo

che è fatto di nulla.


c'era una volta una città.

adesso si sommano vie,

luoghi, facce differenti,

in troppi posti

che non sono io.



**



oblio



non ti ho pensato

eppure oggi tira tanto vento,

credevo non finisse mai.

in un angolo della cassapanca

si è accumulata molta polvere,

la guardo e trattengo il respiro:

non ti ho pensato.


la distanza sono anche

queste crepe sui muri,

le guardo e sospiro:

sono davvero ovunque.


c'è una tua maglia

sola sulla gruccia,

le ho messo addosso un cappotto

perché oggi tira tanto vento,

le persiane sbattono

le piume sopravvivono

e qui è tutto silenzio.


ma non ti ho pensato.
 

Alfonso Brezmes: tre poesie da "Quando non ci sono"

 





Poetica dello sfratto


Mi piacciono quelle poesie

dove non accade nulla

o ciò che accade

resta fuori scena.


Come quelle case vuote

che sono più grandi

dentro che fuori

e ancora conservano i segni

dei loro vecchi inquilini.


O quei quadri di Hopper

dove sempre accade qualcosa

che sa soltanto lui.



**


Pronuncio un nome


Lo dico delicatamente,

come cullandolo:

nulla accade.


Lo scrivo sulla parete. 

Traccio un cerchio.

Mi siedo in attesa.


A volte

le cose tardano,

mi dico.


Non so.


Che forse

anch'io,

stia andando

verso qualcuno,

da qualche parte,

che mi chiamò

molto,

molto tempo fa.



**


Autobiografia


Vengo da un luogo

che mi insegue;

vado verso un luogo

che mi sfugge.


Tra questi due luoghi io esisto:

questo spazio tra parentesi,

questi puntini di sospensione

nella neve

delle pagine di un libro

che si cancella

mentre lo scrivi.


Impronte di qualcuno

che dice che sono io.

ANTICIPAZIONE | Pietro Romano, "Feriti dall'acqua" (peQuod, collana portosepolto)






Le seguenti 5 poesie sono tratte dalla silloge "Feriti dall'acqua", che uscirà nel mese di aprile 2022 per la casa editrice peQuod, all'interno della collana portosepolto.



Luce di dentro, soglia inesausta del passo.

Mi vedo oltre il sentore che a ogni varco o stanza,

come guardi, io per voi ancora non sia:

come addentro uno sguardo coagulato

su un corpo che muore.


**


Questa la terra irreale, questa la viola

sfiorita senza il tempo di quando ti guardo.

Dici del sole che affonda nel chiasmo

di stelle e notti lontane, del volto che alberga

nell’onda come in tanto silenzio la veglia

del lume che sfoca il lenzuolo dopo

per anni avere sostato dentro l’occhio

che posa fra luce e luce.


**


Come tradurre l’azzurro arreso del cielo,

quando, con l’odore di terra riarsa, le parole

separano le nubi dalle nubi, gli uccelli

dagli uccelli, le foglie dalle foglie?


**


Acque di confine agli amen del vento,

in voi si dirada la lontananza, viso

di madre che spezza il nostro dormire.

L’ho vista tornare alla sua veglia,

riconoscermi figlio, poi andare.

Negata alla vita, dissetare il respiro.

Adesso che ogni altrove si è spento

e ogni volto è qui convocato,

addormentate questi occhi devoti

alle candele: destatevi nelle voci

di dentro. 


**


Buio tra le parole. 

Riverbero di volti tra le acque dell’inverno:

ogni altrove si accompagna alla neve.






Manolis Anaghnostakis: tre poesie da "Poesie"


 




Verrà un giorno


Verrà un giorno in cui non avremo più niente da dire
Staremo seduti di fronte e ci guarderemo negli occhi 
Il mio silenzio dirà: Quanto sei bella, ma non trovo altro modo per dirtelo
Viaggeremo non so dove, così per noi o per dire che anche noi abbiamo viaggiato.

La gente cerca per tutta la vita di trovare almeno l'amore, ma non trova nulla.
Spesso penso che la nostra vita è talmente breve che non varrebbe neppure la pena di cominciarla
Da Atene me ne andrò a Montevideo forse e a Shanghai; è qualcosa anche questo; non puoi negarlo.

Abbiamo fumato - ricorda - infinite sigarette discutendo una sera
- Non rammento di che cosa - ed è un peccato perché è stato tanto ma tanto interessante.

Potessi pure un giorno io fuggire lontano da te, ma anche lì verrai e mi cercherai
Nessuno mai, Dio mio, può fuggire da solo.
(...)


***

13.12.43


Ricordi che ti dicevo: quando fischiano le navi non startene nel porto.
Ma il giorno che fuggiva era nostro e non avremmo mai voluto lasciarlo
Un fazzoletto amaro stava per salutare l'uggioso ritorno
Pioveva davvero molto e le strade erano deserte
Con un tenue, indefinito sapore autunnale
Finestre chiuse e la gente così dimenticata
- Perché tutti ci hanno lasciato? Perché tutti ci hanno lasciato? E stringevo le tue mani
- non aveva niente di strano Il mio grido.

... Un giorno ce ne andremo in silenzio e vagheremo
Per le città tumultuose i mari deserti
Con un desiderio acceso sulle labbra
È l'amore che abbiamo cercato e che ci hanno negato
Tu dimenticavi le nostre lacrime, la nostra gioia, i nostri ricordi
Salutando le bianche vele al vento.
Forse non ci resta nient'altro che questo da ricordare.

Nella mia anima sussulta l'angoscioso Perché,
Assorbo il vento della solitudine e dell'abbandono
Batto le mura della mia umida prigione e non attendo risposta
Nessuno mai toccherà la misura della mia tenerezza e della mia tristezza.
(...)


***


Una data, anni fa


Siamo vissuti sempre su spiagge umide introvabili
In silenziosi caffè con sedie decrepite
I crepuscoli vanno e vengono e il mare è infinito
Con le grigie navi che partono e si perdono nel buio.
È bello e triste ricordare tante sere
Strette a fumi invalicabili e a due occhi nerissimi.
A una mano che si allontanava e salutava dal porto ("Porto Said - Alessandria" 20 luglio)
Abbiamo vissuto quelle estati monotone e tristi
Rinchiusi dietro le inferriate del mare
Contando una a una le onde e le stelle
Dediti alla nostra amara attesa.
Sterili ricordi.
A che pensano tutte queste navi nella notte
Che danzano strette da tanti anni e non sono invecchiate
Avviluppate nelle tempeste di innumerevoli viaggi
Che cosa ricordano gli accesi tramonti dei tropici
Le luci che si piegano e sprofondano nell'acqua
I ragazzi che non dormono e piangono ogni sera
("Porto Said - Alessandria" 20 luglio)
I suoi occhi erano tristi come i pomeriggi d'estate
Serrati profondamente nei misteri del mare
E una mano morbida e delicata come la tenerezza
Una mano morbida ti può attirare cantando
Negli abissi del mare nelle lontane città.

Siamo vissuti sempre su spiagge umide e introvabili
Con la memoria ferita da occhi e viaggi
Legata una nave che non farà ritorno
In mezzo a fumi invalicabili a canzoni roche
("Porto Said - Alessandria" 20 luglio).

Paolo Parrini: tre poesie da "Prima della voce"



Affacciarsi sui fiori tra le pietre

e prima di cadere, respirare.

L’alba sorprende la ferita.

È un giorno senza memoria

né case palazzi o grondaie

né rimbalzi. Novembre

è una promessa di neve.



***



Farsi raggio o crepa,

sottile, annidarsi nei concavi

spazi, addormentare la memoria.

Quello che non abbiamo

sono i suoni iniziali dei nomi

che un tempo ebbero un volto.

                                    Sia benedetto

questo spazio fatto altrove.



***



Questo corpo si depone

foglia in attesa

tappeto e rovo

perché dentro tutto il chiaro

esplode sempre una nube scura.

I covoni allineati descrivono

geometriche visioni.

Ma non è ancora tempo del raccolto.

 

Gëzim Hajdari: tre poesie da "Poesie scelte"

 





Non piangere, è il pettirosso che corre
sul ghiaccio del ruscello.

Presto fiorirà il mandorlo
e gli uccelli lirici ci canteranno
nelle vene.

Non piangere,
ho percorso la tua ferita
per raggiungerti.


***


Forse resterò io
(ombra di cane o erbamara),
tirando sassi contro il vento
nelle notti straniere.

assediato dall'edera invadente
e dai brividi umidi
della stanza sgombra,

Immobile
come il nero delle montagne
frustato dalla pioggia.

Anche il mio corpo resterà solo
con il tuo nome di carne
e di buio,
nelle mani fredde,
e con parole assurde sulle labbra.


***


Ovunque io vada in Occidente
porterò con me il mio volto scavato.

Nei miei occhi tristi,
(come in una prigione),
la mia Albania, voci perdute
e tu che ti bagni sotto altre piogge.

Forse in una giornata di pioggia
morirò anch'io,
per strada,

ucciso dai miei sassi
lanciati contro il vento.

Yari Bernasconi: tre poesie da "La casa vuota"



Tallinn


Sei sempre tu: la giacca e il gatto
sulla maglietta. Gli occhi determinati.
Ma l'aeroporto è nuovo e quando dici
<<dieci anni fa>> qualcosa si smarrisce:
una piccola ruota dell'ingranaggio,
fra le vetrate; la vivida certezza
nell'ignoto; quel nulla tanto atteso
e poi riempito e affrontato con foga.
Anche noi siamo sempre noi. Soltanto
più numerosi. Come te, quando diciamo
<<dieci anni fa>>, sentiamo forte e pesante
lo strascico del tempo speso,
che sembra perso.


***


Dejevo


Dove sono le case diroccate, sfondate,
il villaggio in rovina? Quelle macerie
inghiottite dal verde? Non le abbiamo sognante,
ci dicono più tardi, ma tutto è stato demolito
dalle autorità. I garage scavati nella terra
sono adesso teatro di bivacchi e bevute.
Le vecchie strade una pista per quad o motoslitte.
Mentre fotografiamo due mattoni dimenticati
fra gli abeti, tu aspetti e raccogli gallinacci,
poi bacche ed erbe per le tue tisane.


***


Attraverso la striscia d'acqua dolce
tra Caslano e Lavena, dove i pesci
sembrano rallentare, un ragazzo raggiunge
l'altra riva e sorride. Ma se ritorni
domani o dopo, quando il velo di pioggia

nasconde il cielo, vedi gli alberghi cupi e inabitati

e le case svuotate, mentre su è solo roccia,
strapiombo. Senti l'ansia dell'inizio, e più forte
la paura di un'altra fine.

Luigi Paraboschi: tre poesie da "Due parentesi e un punto di domanda"

 





La vita se ne va


La vita se ne ne va e passa oltre
questa luce che divora il giorno
dietro le tende di vuote stanze dove
s’è spento il desiderio nell’abitudine
che gli alberi travalica;
mi piacerebbe riposare nel colore
di questa tardiva primavera
che s’ assopisce nell’ombra dei giardini
dentro il bisbigliare delle ragazze
e sui loro tatuaggi incandescenti.

Ho dentro il vuoto e sono
senza più tutori e volontà,
voglio così assopire l’ansia
e rallentare i battiti
sotto il verde blu pacato
di questo slargo tra le case
fermarmi qui ad ascoltare
il silenzio di questa vita
tra due parentesi quadre
ed un punto di domanda.


***


Confine danese


Il freddo nelle giunture gela i passi
di un cammino che non è più strada,
lo stesso esodo di quando fummo
chiusi dentro i vagoni
e anche qui come allora chiedono
il dazio al confine di passaggio.
Teniamo chiuso il cuore ad ogni sguardo
muti baciamo la mano di chi la porge,
sordi al richiamo della commozione;
andiamo, come settant'anni prima,
con gli stracci di casa raggomitolati
attorno ad una sorte non voluta
che ci troviamo ancora addosso.


***


Metterò cartoni alle finestre

Il tempo e l’uso hanno devastato i vetri
e le finestre, il temporale della sera accumula
la grandine negli angoli più oscuri.
Per riscaldarmi brucio con parsimonia
tralci e racimoli celati
dietro le foglie rosse nel novembre,
raccolti lungo filari saccheggiati,
e rubo un guizzo dai sorrisi per le strade.
Forse ancora tenderò la mano
tra illusioni e speranze di libertà, poi
per riparami dal freddo della stagione
metterò cartoni al posto degli infissi
e cercherò la verità anche con poca luce.

Loretto Rafanelli: tre poesie da "A ogni stazione del viaggio"

 





Vita che giungi nel segreto dell'attimo,
che ordini le trame e i vasti lungomari,
che porti gli estremi sipari,
che attraversi i secondi nella fissità
del nominare, qui nello spazio di una stagione
che va dal senso del precipitare
al sorriso lieve come il gioco
di un bimbo, osserva le coordinate
del nostro viaggio, conta le pause delle notti,
guarda l'eccedenza e i grani
del raccolto, quell'atto dell'incontrare
o l'estrema solitaria
oscurità.


***


Non sappiamo se la foce o la fonte
sono occhi sospesi sul gorgo della frontiera
o frangenti minimi di vita, se le persone
si incrociano nelle piane lontane o si perdono
nella riva fredda di ogni giornata,
vediamo solo che l'itinerario
tra terra e terra è fissità sospesa,
o è il giro perpetuo della sezione del dubbio,
e si vede il punto più estremo del mondo,
e il punto dell'argine, e il respiro dei giorni,
e l'andare continua dei volti,
e l'amara assenza del ritornare,
e l'incontro con la sfinita visione del mare,
nel magma delle radici, nelle tante
patrie, nella mia patria.


***


Sul greto del paese, calato ora
in una larga assenza, ci sono
i giochi e le voci nella curva
breve, quando portavo pietre
che cumulavo nell'argine
del Reno per formare
una patria. E ritornano le grida
dei ragazzi del pallone e il fiato
fresco e giovane raggrumato nella valle
biancastra. Non posso ripercorrere
tutto il tempo del paese colmo di respiri,
ma solo tracciare la linea di una distanza,
e ora vorrei il il senso intatto della retta
dei sorrisi e tenere fissa la rivelazione
e l'alba di ogni fronda e il tramonto
che congiunge i passi di questo giorno.
E quando le persone che solcavano
la piazza scompaiono, mi accorgo
che il sole è divenuto una goccia
secca, arrugginita, come fosse
un ticchettio sconosciuto.

Rosaria Ragni Licinio: tre poesie da "Interno rosso Marte"

 





Sotto la luce della lampada
che non riposa
ho rivisto il tuo volto di carta
stropicciato

dall’inganno di averti ancora
nelle tasche dei pantaloni
o nel portafogli.

Icona dell’assenza
che tutto tace
e tutto lascia correre.


***


Benedici Dio ogni notte
senza una tregua tra la voce
e il respiro – neppure il vento lo ferma –.

Mi fa male questo trambusto:
schiaffi sulle orecchie e baci in volto,
la fiducia in un solo discorso.

Osserva la donna muta – mi costa
troppo la parola – trasfigura l’amore, cambia
il gesto e ritorna. Mistica dell’oggetto

devo mettere ordine: disfare
i capelli e lavare le mani
e poi chiudere gli occhi.


***


Portarsi dentro il cielo
contratto uno sguardo,

– respirare ansia verde –
pulviscolo di pini frantumati

e sentire tutt’intorno
il lascito animale.

Interferenze, muscoli tesi,
un fendente taglia l’aria

e mi apre il cuore in due.
Non ho paura di morire.