Umberto Piersanti: tre poesie da "Campi d'ostinato amore"





La pula


padre, ieri
ero tra edifici immensi,
immensi e fitti
e le persone come la pula
che alla battitura
si dissolve infinita
dentro l'aria,
e pensavo a te,
negli anni venti,
contadino-soldato mandato
là, nella Milano sconfinata
di macchine e calessi,
di vetrine rilucenti,
tu che il mare
non hai mai toccato,
lo intravede appena
dal monte della Conserva
sulla Cesana alta,
così lontano,
non sai dove finisce l'acqua
e comincia il cielo,
e come te
m'aggiro
estraneo e perso
dentro il mondo nuovo
ma tu avevi vent'anni,
a Che'Spasso o Camorciano
t'aspetta una ragazza,
una da raccontargli
tutto del mondo nuovo,
un mondo da non credere
per chi sta nei campi

altri sono i miei anni,
come quelli dei vecchi
che sanno storie,
oggi le storie
i giovani le hanno
scritte su vetri
con la pelle confusi
dentro le mani

in un tempo remoto
ho guardato con te
la pula salire in aria,
ora la vedo
che dal fosso sconfina,
non la ferma il Catria
neppure il mare,
questi edifici immensi
attornia e stringe,
continua il suo cammino
e mai s'arresta

luglio 2019



***



Madre


madre, così lontani
i volti,
oltre la nebbia sconfinata
- un fumo li disegna
appena, appena
come ciocco ormai spento
fa nel camino -
dietro la casa antica,
dietro la balaustra
che s'apriva all'Immenso,
lì del padre s'aspetta
il ritorno
e la sorella bruna
mi guida
alla cerca del muschio
nelle valli d'infanzia
sconfinate
e con gesti perfetti
l'altra dispone
limpide statuine
nell'angoliera

non ho più immagini
d'allora,
ma quello è un tempo
non adatto a pellicole
e figure
e nella mente s'appanna
a poco a poco

con gli occhi
e con le mani
ti cerco il volto,
la memoria pervade
la mia giornata

agosto 2019



***



Jacopo ormai grande


Jacopo quasi non ricordo
tuu che cammini
in fondo alla piscina
tea le bolle
elfo inconoscibile
e distante,
o avanzi dentro i campi
d'Abruzzo tra sciami
di cavallette
e le distanze,
ho ancora fermi l'acque
che al tuo piede s'arrestano là
sotto il Conero
ai Sassi Neri,
ora possente e muto
mi fissi,
così lontano,
Jacopo non ancora nato
che ogni corso mutavi
ed un'intera stagione
mi rapinavi,
e dopo venne il male
che il tuo viso perfetto
appena, appena piega
ma non incrina,
Jacopo delle corse
e dei dolori,
Jacopo del riso
e dello sconforto,
sei nella vita
quella svolta improvvisa
che non t'aspetti,
la tragica bellezza
che i tuoi giorni inchioda
al suo percorso

agosto 2019

Corrado Benigni: Tre poesie da "Là fuori"





Non sappiamo più dove finiscono le città:
quartieri e cavalcavia, sensi unici e semafori,
rallentare e accelerare al ritmo del traffico;
dove finisce una città non è più un limite territoriale,
ma un cambiamento nei movimenti,
come le stagioni della vita
in attesa d'essere consegnati alle nostre destinazioni,
ai nostri destini.


***


Gli uccelli che scavano nell'aria la direzione giusta
e il movimento delle correnti nella profondità degli oceani.
Quest'appartenenza antropomorfa di tutte le cose,
dove ogni elemento è specchio di un altro.

Tutto è tempo che si scompone e scompare.
La mente nasconde a se stessa questa fuga,
ma nel rovescio dei passi è scritta
l'antica somiglianza tra attesa e cammino.


***


C'è uno sguardo delle cose
che fa del visibile una presenza,
questa luce abitata dal declino,
dalla lotta costante con la sparizione.
Fissa nella parola
non l'inerzia della superficie, ma il suo centro:
è nostro l'incerto e mutevole trascorrere
che definisce il paesaggio.
Nella trasparenza prende forma il tempo,
come in una fotografia, dove il silenzio si fa colore
mentre la pianura si dispiega
dialogando con il suo orizzonte.

Adam Zagajewski: Tre poesie da "Guarire dal silenzio"




Equilibrio



Guardavo dall'alto il paesaggio artico
e pensavo al niente, al dolce niente.
Vedevo le bianche Marquez delle nubi, gli infiniti
territori dove invano cercheremmo le tracce del lupo.

Pensavo a te e al fatto che il vuoto
può promettere un'unica cosa: la pianezza -
e che un certo tipo di niveo deserto
scoppia per eccesso di felicità.

Quando fummo vicini all'atterraggio,
fra le nuvole apparve l'indifesa terra,
ridicoli giardini dimenticati, la pallida erba,
tormentata dall'inverno e dal vento.

Accantonato il libro per un attimo sentii
il perfetto equilibrio tra veglia e sogno.
Quando, tuttavia, l'aereo toccò il cemento e poi
prese a rollare laborioso nel labirinto dell'aeroporto

allora di nuovo non seppi più nulla. Tornò l'oscurità
del quotidiano errare, la dolce oscurità del giorno,
l'oscurità di quella voce che conta e misura,
ricorda e dimentica.



***



Attendi il giorno autunnale



Attendi il giorno autunnale, attendi il sole
ormai un po' stanco, la polvere nell'aria,
il tempo del giorno pallido.

Attendi le ruvide, marroni foglie dell'acero
incise qua e là come le mani di un anziano,
attendi i castagni e le ghiande,

la sera in cui ti siederai col taccuino d'appunti
nel giardino e il fumo del focolare avrà
l'inebriante sapore dell'inattingibile sapienza.

Attendi il pomeriggio più breve del respiro di un atleta,
l'armistizio fra le nuvole,
il tacere degli alberi,

l'attimo in cui raggiungerai la pace assoluta
e ti rassegnerai al pensiero che ciò che hai perduto
l'hai perduto per sempre.

Attendi il momento in cui forse non proverai più
nemmeno il desiderio di rivedere coloro che hai amato
e che non ci sono più.

Attendi il giorno chiaro e alto,
l'ora senza il dubbio né il dolore.

Attendi il giorno autunnale.



***



Grandi città



Mi sono fermato, in piedi, nel mezzo di grandi città
più di una volta, fra pareti
le case, e alberi nei giardini,
e ho cercato di capire
dove si nasconde il centro
di questo enorme spazio,
la capitale della capitale.

Gli aerei roteavano, si giravano su di me
come avvoltoi, splendeva un sole insolente,
sghignazzavano gli occhi dei passanti:
noi viviamo senza cuore
e senza memoria...
finché bastano le forze.

"La ragione della polvere" su Repubblica

Si parla del mio libro La ragione della polvere su La Repubblica dell'8 febbraio 2021, grazie alla giornalista Gabriella Crema.



Guido Mazzoni - Tre poesie da "I mondi"





Ogni voce torna nel risveglio
quando le forze compresse in questo sogno
sono il mondo che attraverso.
La forma della costa dopo il temporale,
l'odore di pioggia nell'aria, la mano
di mio padre che mi porta
in alto, sulla sabbia.
Se lo stupore nomina le cose
e le fa essere davvero,
mare e casa, darsena e spiaggia,
mentre nel sole respiro la mia ansia
quando l'infanzia cede alla memoria
la paura, l'origine delle parole, questo squarcio
pieno di cose che parla dal paesaggio
ii una mattina degli anni Settanta mentre guardo
il mio volto, nel vetro ancora buio,
apparire tra le nubi. Ricordo
sempre più spesso solo gli atomi compiuti,
la vita presso di sé, così perfetta
nelle monadi dove eravamo veri
per un istante indicibile: il suono
della pioggia sui teli, il vento sulla plastica,
mia madre chiude la tenda, tra il fulmine
e il tuono un vuoto indefinibile,
fuori dal tempo di tutti
il mare nitido, noi stessi per un attimo.



***



(...) Basta allontanarsi per un istante dalla finzione che ci tiene insieme perché la vita degli altri appaia interamente immotivata e ci afferri lo stesso stupore postumo che si prova ripensando a una moda morta, quando ci si chiede come sia stato possibile mettersi delle cose così assurde soltanto dieci anni prima. Ma un'identica vertigine ci potrebbe cogliere se rivedessimo la nostra vita, se ripensassimo alle idee, ai desideri o alle persone che abbiamo amato o odiato, e a quanto quelle passioni appaiano insensate adesso. Nessuna esperienza ci unisce; noi stessi siamo questa dispersione. Aggrego tutto questo; gli creo un luogo; lo faccio esistere mentre guardo la parete e scivolo fuori dal mondo per diventare un animale inerte. (...)



***



Torna il silenzio oltre i vetri dell'auto e la parete
del sole fra lo svincolo e la strada
è invisibile da qui. Correvamo
fra i tralicci e gli abeti che ora vedo
per l'aria bianca oltre il tempo attraversare
il primo giorno del 1983 insieme a noi.
Vuoti e colore nel paesaggio disgregato, il porto
di Livorno alla fine della gita,
i parenti che non conoscevo. Dietro le ciminiere,
come un sacco opaco o un enorme
animale sospeso sui tetti delle case, si gonfiava
fra il pulviscolo viola il temporale.
Rigido io li guardavo nella nube che entra
elettrica dai vetri e li ascoltavo
dentro il volume della radio accesa raccontare
pezzi della propria vita, le solite
banalità - gli adulti, i genitori. Allo stupore
che prima del sonno mi annullava ho domandato
spesso di non essere così -
(...)

Piero Bigongiari - Tre poesie da "Il silenzio del poema"




L'universo ha un cuore?


Il mare non è perfetto, nulla è
perfetto, nemmeno amare, nemmeno
la luce sul mio tetto. Tutto appare e
scompare. Forse ha bisogno di riposo
il tempo, il dubitoso abitatore
dello spazio, l'iroso corruttore
della felicità fino allo strazio.
Inquieto è il colombo viaggiatore
che, posato sul tetto, deve aprire
di nuovo le ali per tornare là
dove un giorno ha imparato a volare,
dove il cibo è posato sullo strame
e l'odore della sua discendenza
ha fame, non può far senza di lui.

(...)

Qualche cosa si è perso della pena
dell'universo che lasciò il Big Bang
per sciamare coi suoi astri infuocati
- per trovare cosa? L'infinito
è una rosa che si abbrustolisce,
un mito in cerca delle proprie origini.
Può tornare sull'indice di Dio
per cui additare fu già indicare
che può tornare chi se ne allontana?
La creta è ancora Creta, in forma umana?
È nell' allontanarsi la misura
del Passo del ritorno?

(...)

Scompare anche l'amore dove appare,
forse per irraggiare più felice
da lungi la sua azione? Cosa dice?
Bisbiglia, a un tratto grida, a un tratto tace.
Ma sa l'amore ritrovare il nido
o si è smarrito in una sua visione
troppo fugace? È suo, nell'universo,
questo grido, di chi ha perso se stesso?
O per converso chiama chi non sa
più ascoltarlo? È la trama che si smaglia
o s'infittisce, in mano a una brama
che più non sa se troppo o troppo poco
ama. Sulla ramaglia trema un fiore
Su cui Aracne tesse la sua tela
assassina. Ha un cuore l'universo?
Insieme al suo è uno il mio tremore.
Che cosa ho trovato, che cosa ho perso?


***


È luce


... Ma è più vera sapienza quella che
Non vuol sapere tutto, la sua essenza
È quella che come la stella riempie
Di luce ogni distanza da se stessa,
l'oltranza della propria incandescenza.
È luce quello che nel cuore è fuoco.
In quello che non so tutto è poco.



***


Il dono più terribile e convulso


Troppo prometti, vita, e lo so bene
che non potrai mantenere quanto hai
promesso, ma ti ringrazio lo stesso
di ciò che tu mi hai fatto intravedere,
se intravedere è già scorgere in ciò
che il desiderio ti propone quello
che tu puoi soltanto immaginare.
È infiltrare già nell'invisibile
il tuo sguardo più Cupido, il solare
impulso che ti spinge a cercare
nella penombra, tra ricordo e oblio,
il dono più terribile e convulso
del Dio: la capacità di amare.

Giovanni Ibello - Un estratto da Dialoghi con Amin





I.


La poesia è un lunghissimo addio.



III.


La mia estasi rimane
lettera morta sul greto.
Brindo al disamore
al cuore profanato nell'acquaio
agli insetti fulminati nell'insegna.
Ci lega la parola feroce,
una giostra di penombre.
L'incanto di una teleferica,
l'esatto perimetro di un grido.
Tu che muori
in quell'assillo di aranceti
che ritorna.
Era l'affanno antico,
l'anemone del giorno
divelto sopra i silos.


XVI.


io non torno più

Ricavo dai roghi autunnali
un altare di gemme,
È il menhir delle esiliata luna.
Io sono Giovanni
e non ho mai chiesto di essere amato.
L'amore stringe nel seno
la sorte del tuono:
frantumare il vetro dell'esistenza.
Così noi, ebbri di giovinezza
corriamo a perdifiato nell'oltrenero,
succhiamo avidamente
il fuoco rimasto nelle pietre
e brindiamo / all'ombra che fu delle pinete.
Ogni cosa rivela
quel nulla che siamo già stati.
Tutto simula la quiete.
Poco distante, un uomo prende a pugni la rena.
Dice: "Credimi, noi non siamo per rinascere.
Nessun verso sconta la primavera."



Giovanni Ibello,  Dialoghi con Amin

Louise Glück - Tre poesie da "Averno"






È vero che non c'è abbastanza bellezza nel mondo.
È anche vero che non sono in grado di recuperarla.
Nemmeno candore, e qui potrei essere di qualche utilità.

Sono
all'opera, anche se sono silenziosa.

La blanda

miseria del mondo
ci lega da entrambe le parti, un viale

fiancheggiato da alberi; noi siamo

compagni qui, non parlando,
ognuno con i propri pensieri;

dietro gli alberi, cancelli
di ferro delle case private,
le stanze dalle imposte chiuse

in qualche modo deserte, abbandonate,

come se l'artista avesse
il dovere di creare
speranza, ma con cosa? Cosa?

La parola stessa
falsa, un mezzo per confutare
la percezione - All'incrocio

le luminarie delle feste.

Sono stata giovane qui. Prendevo
la metropolitana col mio libretto
come per difendermi contro

questo stesso mondo:

non sei sola,
diceva la poesia,
nel buio del tunnel.



***



Cose favolose, le stelle.

Quando ero bambina, soffrivo di insonnia.
Le notti d'estate, i miei genitori mi lasciavano stare accanto al lago;
portavo il cane per compagnia.

Ho detto "soffrivo"? Quello era il modo dei miei genitori di
ppiegare
gusti che a loro sembravano
inspiegabili: meglio "soffriva" che "preferiva vivere col cane".

Buio punto silenzio che annullava la mortalità.
Le barche legate che si alzavano e abbassavano.
Quando la luna era piena, a volte potevo leggere i nomi di
ragazze
iipinti sul fianco delle barche:
Ruth Ann, Sweet Izzy, Peggy my darling -
non andavano da nessuna parte, quelle ragazze.
non c'era nulla da imparare da loro.

Stendevo la giacchetta sulla sabbia umida,
il cane si accoccolava accanto a me.
I miei genitori non potevano vedere la vita nella mia testa;
quando la scrivevo, correggevano l'ortografia.

Suoni del lago. Distensivo, disumano
Il suono dell'acqua che lambiva il molo, il cane che razzolava
da qualche parte nell'erbaccia -



***



Telescopio


C'è un momento dopo che togli l'occhio
che dimentichi dove sei
perché hai vissuto, sembra,
da un'altra parte, nel silenzio del cielo notturno.

Hai smesso di essere qui nel mondo.
Sei in un luogo diverso,
un luogo dove la vita umana non ha significato.

Non sei una creatura in un corpo.
Esisti come esistono le stelle,
partecipando alla loro immobilità, alla loro immensità.

Poi sei di nuovo nel mondo.
Di notte, su una collina fredda,
smontando il telescopio.

Ti rendi conto dopo
non che l'immagine è falsa
ma la relazione è falsa.

Vedi di nuovo quanto lontana
ogni cosa è da ogni altra cosa.