Guido Mazzoni - Tre poesie da "I mondi"





Ogni voce torna nel risveglio
quando le forze compresse in questo sogno
sono il mondo che attraverso.
La forma della costa dopo il temporale,
l'odore di pioggia nell'aria, la mano
di mio padre che mi porta
in alto, sulla sabbia.
Se lo stupore nomina le cose
e le fa essere davvero,
mare e casa, darsena e spiaggia,
mentre nel sole respiro la mia ansia
quando l'infanzia cede alla memoria
la paura, l'origine delle parole, questo squarcio
pieno di cose che parla dal paesaggio
ii una mattina degli anni Settanta mentre guardo
il mio volto, nel vetro ancora buio,
apparire tra le nubi. Ricordo
sempre più spesso solo gli atomi compiuti,
la vita presso di sé, così perfetta
nelle monadi dove eravamo veri
per un istante indicibile: il suono
della pioggia sui teli, il vento sulla plastica,
mia madre chiude la tenda, tra il fulmine
e il tuono un vuoto indefinibile,
fuori dal tempo di tutti
il mare nitido, noi stessi per un attimo.



***



(...) Basta allontanarsi per un istante dalla finzione che ci tiene insieme perché la vita degli altri appaia interamente immotivata e ci afferri lo stesso stupore postumo che si prova ripensando a una moda morta, quando ci si chiede come sia stato possibile mettersi delle cose così assurde soltanto dieci anni prima. Ma un'identica vertigine ci potrebbe cogliere se rivedessimo la nostra vita, se ripensassimo alle idee, ai desideri o alle persone che abbiamo amato o odiato, e a quanto quelle passioni appaiano insensate adesso. Nessuna esperienza ci unisce; noi stessi siamo questa dispersione. Aggrego tutto questo; gli creo un luogo; lo faccio esistere mentre guardo la parete e scivolo fuori dal mondo per diventare un animale inerte. (...)



***



Torna il silenzio oltre i vetri dell'auto e la parete
del sole fra lo svincolo e la strada
è invisibile da qui. Correvamo
fra i tralicci e gli abeti che ora vedo
per l'aria bianca oltre il tempo attraversare
il primo giorno del 1983 insieme a noi.
Vuoti e colore nel paesaggio disgregato, il porto
di Livorno alla fine della gita,
i parenti che non conoscevo. Dietro le ciminiere,
come un sacco opaco o un enorme
animale sospeso sui tetti delle case, si gonfiava
fra il pulviscolo viola il temporale.
Rigido io li guardavo nella nube che entra
elettrica dai vetri e li ascoltavo
dentro il volume della radio accesa raccontare
pezzi della propria vita, le solite
banalità - gli adulti, i genitori. Allo stupore
che prima del sonno mi annullava ho domandato
spesso di non essere così -
(...)