Gabriele Borgna: tre poesie da "Manufatti del dissesto"






Era tutto un cercare
qualche forma di aderenza
quel mio stare a lato
fissando le macerie,
una guerra di posizione
sul fronte dell'abisso.

Incominciavo a finire
costruendo respiri.



***



Con l'avvento del buio
fra l'acqua e la pietra
l'onda è un gioco di volumi
dove l'attimo straripa.

Nel grembo dell'arenile
una torma di gozzi in secca
e il morso del sale
che scarnifica.



***



Certe domeniche s'intrecciano
all'ordito delle cose
addossandosi ai paesaggi
logorati dall'attrito.
Assedio e misura
di un'età rivissuta
fra i tuoi ricci,
meraviglia di chi apprende
gli inverni al crepitio dei ceppi
eppure, ancora ignora.

In fondo al fuoco
il futuro è cenere.

Anna Achmatova: tre poesie da "La corsa del tempo"



Ho appreso a vivere semplice e saggia,
a guardare il cielo, a pregare Iddio,
e a vagare a lungo innanzi sera,
per fiaccare un'inutile angoscia.

Quando nel fosso freme la lappola
e il sorbo giallo-rosso piega i grappoli,
compongo versi colmi di allegria
sulla vita caduca, caduca e bellissima.

Ritorno. Un gatto piumoso mi lecca
il palmo, fa le fusa più amoroso,
e un fuoco vivido divampa al lago
sulla torretta della segheria.

Solo di rado un grido di cicogna,
volata fino al tetto, squarcia il silenzio.
E se tu busserai alla mia porta,
mi sembra, non sentirò nemmeno.



***



Mi perdonerai questi giorni di novembre?
Sui canali della Nevà tremolano le luci.
Poveri addobbi di un tragico autunno.



***



La bianca casa


Gelido sole. Dopo la parata
passano e ripassano le truppe.
Godo del meriggio di gennaio,
e la mia ansia è lieve.

Qua rammento ogni ramo,
ogni profilo.
Tra la bianca rete di brina
goccia una luce cremisi.

Qui c'era una casa quasi bianca,
una veranda di vetro.
Tante volte - la mano smarrita -
strinsi il cerchio del suo campanello.

Tante volte... Suonate, soldati,
ed io troverò la mia casa,
la distinguerò dal tetto incurvato,
dall'edera perenne.

Ma qualcuno l'ha spostata,
l'ha portata in città straniere
o per sempre ha strappato al ricordo
la via che vi conduceva...

Cornamuse dileguano lontano,
vola la neve, fiore di visciola.
E, si vede, nessuno sa
che non c'è più la bianca casa.

Adelelmo Ruggieri: tre poesie da "La città lontana"



La finestra nel bicchiere


Come la tua immagine riflessa
Presso la finestra della stanza
Nel tuo bicchiere vuoto
È questo stare
Né specchio certo, né certa verità
Se guardo in esso tuttavia distinguo
Il tuo corpo, la strada
La finestra del bicchiere



***


16 ottobre


Avete mai visto bene la casa di chi non c'è più?
Una casa che amava te, s'intende, e stipata di cose
Di quell'accumularsi invano delle cose nel tempo
Avete mai provato a riflettere sulla polvere
Che devasta già da ora quelle cose tanto amate
Da rappresentarci? Ma chi ci ama altre cose
Intorno a sé raccoglie, una somma innumerevole di cose
Opponiamo a non sappiamo cosa.



***



Una strada, un punto esatto


C'è un punto esatto della Pompeiana
Che le mattine chiare a primavera
Alle sette il sole da poco sorto
Forma un trapezio di luce sul mare
E un gruppetto di alberi gli è davanti
Con i rami ancora spogli, liberati
E nel guardare bene quella scena
Alcune lacrime il tuo volto accoglie
E sanno di quel ciò che viene detto
Sulla terra, splendore.

Davide Valecchi: tre poesie da "La strada del nutrimento"




La casa dove abitavi è costruita
al centro di un pascolo
che si apre all'improvviso
alla fine del bosco.

Durante i mesi caldi
l'erba si nutre soltanto di luce
e muovendosi in silenzio
rilascia nell'aria particelle
che attraversano i corpi.

Dentro tutto è bianco
e frantumato in polvere finissima
destinata a disperdersi
al primo aprirsi di una finestra.



***



Uscendo fuori vedo il cielo
prima di ogni cosa
ma è la strada che devo guardare
perché è quasi cancellata:
se ne indovina il percorso
osservando il livello degli steli.

Le porte sono ovunque:
occorre abituare gli occhi
alle incisioni del vento
rimanendo immobili
per il tempo necessario.



***



L'atto di salire compie il lavoro
e ora che siamo arrivati
passando alberi e paesi
fermi dove il terreno spiana
possiamo voltarci a guardare indietro
verso la distesa di ciò che era nostro
distinguere i colori degli anni
osservare lo stato di logoramento
il grado di nitidezza
e liberarci da tutti i luoghi
dove non siamo più.

Umberto Piersanti: tre poesie da "Nel folto dei pensieri"






Diario di bordo


presso la foglia fradicia
del tiglio e dentro l'erbe
fatte quasi bianche,
nel suo rosa sempre più pallido
e tenace, un cespo di ciclamini
si rinserra, fragili i gambi
e corvi, inzuppati d'acque,
ma fino a quando arde
dentro la bruma spessa,
la nebbia nera,
quella rosa che settembre
accese con un suo vento
morbido e celeste?

no, la brina non lo stronca
e non lo schianta il vento,
forse l'eterno è nel pallido
colore che mai si spegne
e alla terra eterna
s'annoda e confonde,
ma dicembre viene
e nel gelo lo spezza
c'era lì nell'orto
un lungo ramo
con i passeri in fila
bianchi di neve,
solo il rosso dei cachi
un po' trapela
tenace, nel chiarore
che l'avvolge

e non sei mai solo
come quando dalla finestra
di un albergo nuovo
dentro ogni macchina che passa,
infinite, coi fari,
tra la pioggia,
i volti dei viandanti
tu intravedi

annota nel diario a bordo
vicende e cose,
minute o immense
questo conta poco,
e le stanche domande
non segnare,
perché un vecchio
corre lungo il mare
e tra le tamerici ingiallite
o spoglie, una sola
è rimasta verde?

appunti, solo appunti
sparsi, Il veliero continua
l'incerta rotta

cerca le sue Galapagos,
ogni moto e caduta
lì forse ha un senso,
sale una bruma immensa
spegne astri e quadranti,
la rotta che s'è persa


Dicembre 2009



***



Non sei di questo tempo


e poi quel mare opaco,
colore dei giorni freddi,
un verde che si scioglie
tra nebbie e spume,
e tu lo guardi
stretto al finestrino
del treno che s'inoltra
nell'inverno

non sei di questo tempo,
lo capisci
se le guardi
snelle e disegnate
e quelle giubbe uscite
dal futuro, magari da una pagina
d'Urania, mandano luci strane
e fluorescenti,
stanno in silenzio
con il capo chino
sulle parole accese
tra le mani

no, ha i vostri anni,
non v'assomiglia,
dico del figlio,
ancora più del padre
vive dal vostro tempo
separato

oh, quel mare sognato
dagli alti campi,
ci scendono palombe
a branchi folti,
stronca il piombo ali
e becchi, gli occhi quieti,
li cercano tra i ceppi
i bianchi cani

dalle strade sbranate,
le case rotte,
dal cielo era venuto
dolore e fuoco,
arrivai alla Gran Pozza
ch'era un giorno d'estate

oh, quell'ora assoluta,
l'immensa luce,
l'acqua cerchiava il mondo
e la tua vita

entra - dice Gaetano -
non ci pensare,
e sono andato dentro
tutto vestito,
il vecchio Gaetano
e tu bambino

ora che t'attraverso
nell'inverno,
nel giorno ti ricordo
più luminoso


Dicembre 2007



***



Adolescenza amore


così remota e persa
è la figura
che tra i viburni passa
e poi scompare,
nella fuga degli anni
ormai dissolta,
ma nella pietra resta
un'orma azzurra
d'un cielo e d'una veste
così lontani

lei era come l'aria
di quei giorni,
azzurra e chiara
come il suo lungo nome,
come l'età
che credevamo eterna

adesso,
nella cronaca dei giorni
fragili e falsi
come notiziari,
tu nella pietra cerchi
il volto eterno
d'un amore, il più fragile
e fugace


Dicembre 2012




Elio Pecora: tre poesie da "Rifrazioni"



Quanto parla il dolore di se stesso e, se a volte
gli giova - che s'attenua, si misura col mondo
così tanto abitato dal dolore - più spesso si denuncia,
si aggrava, fino a serrarsi in un antro scuro.

Non si pronuncia la felicità, sta ferma nell'istante,
colma, fuor di misura, di se stessa e di tutto innamorata;
dopo la pensi come una raggiera splendente, come
un dono inatteso, e di toni soavissimi accordata.



***



L'inganno non è stato muoversi in questo recinto,
ma tenere per certa una promessa bugiarda.
Quando, il meglio era lasciarsi nel vento,
accordarsi allo specchio, farsi leggero all'uscita.



***



Un altro tempo corre in questo tempo
che contiamo a minuti:
è l'ansa dove il sogno della mente
non conosce durata,
la parola che tenta se stessa
esatta, svelata.

Vittorino Curci: tre poesie da "Poesie (2020-1997)






III


l'ingranaggio s'inceppa quando
la nostalgia di un semplice guardare
cresce a dismisura
per curare le innumerevoli ferite.
ogni ferita ha un nome.
a parte questo, non so altro

partire, allontanarsi per sempre,
sottrarsi alla requisitoria
della parte orfana.
provare diversamente.



***



(al bar di notte)

Vengono qui non per
tornare sui loro passi.
credo aspettino qualcosa
o qualcuno
da sfiorare con il dorso
della mano - un gesto
semplice ma per noi
incomprensibile

vengono qui perché
ogni voce è un brivido
che passa nell'aria
per inverarsi
in un'idea di vita.



***



Liturgia del buon principio



La coscienza castigante impedisce il volo a destra
con scudisciate d'aria
e scricchiolii stellari che spaventano le greggi.
La tua è la spesa frugale di un timido - cose
che prendi dai romanzi e metti in salvo
dal tutto che rovina - Ma per una volta, per una
sola volta potrai svettare
sulla tua figura inerte
fino a scorgere i semi buoni
di un tempo irragionevole.
Sarai il custode della roccia che si guadagna la sera
soffiando sulla materia oscura, sulle inadempienze
di un padre a mezza strada. In un brivido
delle vertebre riconoscerai
ciò che è sempre stato tuo - in un luccichio di vetrine
a dicembre, la prima ruga sul viso di tua madre.
Sarai una lastra di pietra incisa, l'allegoria cresciuta
come dogma tra le mani, un ricettacolo
di primizie che - come la vita- non si può definire.

Che le tue parole siano redente e pure.