Anna Achmatova: tre poesie da "La corsa del tempo"



Ho appreso a vivere semplice e saggia,
a guardare il cielo, a pregare Iddio,
e a vagare a lungo innanzi sera,
per fiaccare un'inutile angoscia.

Quando nel fosso freme la lappola
e il sorbo giallo-rosso piega i grappoli,
compongo versi colmi di allegria
sulla vita caduca, caduca e bellissima.

Ritorno. Un gatto piumoso mi lecca
il palmo, fa le fusa più amoroso,
e un fuoco vivido divampa al lago
sulla torretta della segheria.

Solo di rado un grido di cicogna,
volata fino al tetto, squarcia il silenzio.
E se tu busserai alla mia porta,
mi sembra, non sentirò nemmeno.



***



Mi perdonerai questi giorni di novembre?
Sui canali della Nevà tremolano le luci.
Poveri addobbi di un tragico autunno.



***



La bianca casa


Gelido sole. Dopo la parata
passano e ripassano le truppe.
Godo del meriggio di gennaio,
e la mia ansia è lieve.

Qua rammento ogni ramo,
ogni profilo.
Tra la bianca rete di brina
goccia una luce cremisi.

Qui c'era una casa quasi bianca,
una veranda di vetro.
Tante volte - la mano smarrita -
strinsi il cerchio del suo campanello.

Tante volte... Suonate, soldati,
ed io troverò la mia casa,
la distinguerò dal tetto incurvato,
dall'edera perenne.

Ma qualcuno l'ha spostata,
l'ha portata in città straniere
o per sempre ha strappato al ricordo
la via che vi conduceva...

Cornamuse dileguano lontano,
vola la neve, fiore di visciola.
E, si vede, nessuno sa
che non c'è più la bianca casa.