La ragione della polvere su Atelier

 



Antonio Fiori legge con millimetrica precisione "La ragione della polvere" (peQuod) per la rivista Atelier


Giancarlo Sissa: tre poesie da "Archivio del padre"






Mercoledì 17 ottobre 2018 St. Andrews


Durante la cena abbiamo persino riso. Come la mano amputata nella pressa che continua. Ad afferrare il vuoto. E forse ride persino il pugile inebetito. Dall'ultima sconfitta.

Del resto quali azioni ti attribuisco padre. Mentre apri l'acqua fuoco. Lago di ghiaccio che per secoli e secoli attraversano i bambini. Morte che non si racconta. Tempo che non conta.

Le parole del medico dicono una storia nella quale non ci sono mani né bicchieri di vino. O poche. O pochi.



***



Altri giorni


Padre caro la casa ha messo i libri sotto la pioggia. L'ultima ora non ha avuto delirio ma le antiche ipotesi d'acqua. Il tempo forerà le mani a questi idioti che non sanno cos'è un tavolo. Cos'è una matita. Cos'è il mattino cos'è. La buona febbre. Camminare lentamente verso.

Bisognerebbe leggere digiunare. Voltare le spalle al bel tempo. Entrare nell'osteria dell'inverno a bere da bicchieri vuoti. Accendere il fuoco nel camino e dimenticarsi. Scrivere con precauzione sul quaderno dei compiti. E poi morire. E poi risorgere. E ogni volta scordarsi di voi.




***



Domenica 28 ottobre 2018


Viene il giorno che finalmente non contiamo più nulla e siamo pezzi di sole presi in una pietra.

Imbozzolati nella voce. Nel silenzio della voce. Nell'inchiostro d'autunno. Della voce.

Padre l'acqua non sbaglierà direzione. La barca sbatterà vuota ai cancelli. Ogni cosa sarà lucina d'autunno.


"La ragione della polvere" nella lettura di Chiara Evangelista




Chiara Evangelista, giornalista e poetessa, si sofferma con attenzione su "La ragione della polvere' (peQuod, 2020).

La sua attenta lettura è per Laboratori Poesia

Cettina Calió: tre poesie da "Di tu in noi"






Soprattutto quando
a tentoni cerchiamo il fondo
del mattino
ma è ancora la porta

soprattutto quando
solo fino a un certo punto

si spiega lo strappo
fra il non domandare
e il non importa

ora che passa a brandelli
il giorno
e da una finestra
in affitto
il vuoto largo del cielo trascorre
come cosa non nostra

gli occhi sono arresi
nel silenzio levato
che moltiplica se stesso
sempre per uno



***



Nella voce di una campana lenta
passa la vita
e chiude ogni frase
in un tormento di ultime volte
sapute sempre
dopo

qualcosa cerchiamo
su cui posare lo sguardo
senza tremare

fra un rintocco e l'altro

un sentiero piccolo di arbusti
promette giorni di fiori a venire

e noi
un dettaglio
in questo panorama che basta
a se stesso.



***



Il silenzio è un gesto lento


Accadeva sempre
accanto alla crepa

la vita
smarrita indietro
discordata in avanti

faceva toc toc
l'abisso
e dilatava la parentesi del buio

agli angoli feriti
bisognava cambiare lo spazio

non basta
scuotersi dal grido
dire ci sono
non basta.

Bruno Piccinini: tre poesie da "Credere nel corpo"



Nel tunnel


Ho disceso i gradini
della metropolitana, sono in fuga
nel tunnel artificiale del pensiero
fra intermittenze di luci e oscurità,
mi cerco al di sotto di me
nelle profondità, tra le vertebre
e le ossa della terra,
corro con le vene che mi percorrono
e circolano senza fermarsi
tra le masse e nelle cavità
alla ricerca di una porta
d'illuminazione.



***



A sua immagine


Mi ha vestito il tempo a sua immagine
e sono un corpo dentro la sua tela
sotto la tela e il filo
che la tesse.
Sono l'ostaggio anonimo
del viaggio irreversibile che compie - verso dove? -
la cronaca che vive
nelle parole che tremano e si perdono,
nei fogli silenziosi della pagina
nella fibrillazione del pensiero.
Nel vento che mi percorre il corpo
sono la forma è il luogo
della foglia che prima di cadere
incendia l'aria di colori
e si riscatta.



***



Figure-corpi


Avanzano si spostano indietreggiano
figure ai doppi vetri
visi scompaiono
che vivono di sguardi
cercano la luce della stanza
volti all'incandescenza della lampada.
Sono con loro in adiacenza
sono contiguo sovrapposto
sono lo sguardo dentro lo sguardo
il desiderio attratto dalla lampada
vivo l'istante breve necessario
a cercare l'altra luce. 

Roberto Deidier: tre poesie da "All'altro capo"




L'ombra della finestra sulla parete azzurra
All'alba, il profilo nero della bottiglia,
La santità del silenzio dopo l'amore
Forse li hai portati nel respiro
Del sonno, forse hai sentito
Quanto ero sveglio per non aver creduto
A un miraggio che durava,
Arreso infine a una stanchezza senza sogni.



***



Piovasco


Ecco i giorni dell'acqua, la costellazione
S'apre la cascata, stinge il destino
O forse i sogni si scrivono con lettere
Trasparenti? Scende sul marciapiede
Come una felicità mancata.

Quante volte dietro i vetri assistiamo
A una congiura che ci sembra estranea -
Nuvole, diciamo, passeranno in fretta
Per dirigersi altrove e non sappiamo
Né vogliamo sapere, siamo solo
I testimoni del clima, una giornata
Di mobili spostati, memorie svuotate.



***



Ruote felici sulla polvere.
C'è davvero bisogno di aspettare il vento?

Vanno verso l'orizzonte in ombra,
Le ultime miniature ostinate.

Sono un silenzio che s'allontana,
Di spalle incalzano nuvole in disarmo.

Piera Oppezzo: tre poesie da Esercizi d'addio





Tempi di guerra


Quel grigio di giorni d'inverno
quando, sola sulla strada
di un paese sconosciuto,
fissavo le pietre fredde
subito coperte dai miei passi,
pensando ai giochi o ad una favola
per non capire la paura
che mi batteva sulla nuca
e credere colpi di tuono
quei boati fra le valli
che mi toglievano all'infanzia.



***



Sera


Sento come tutto muta
e ancora si converte
in altra luce,
nel traguardo della sera.
Davanti a questa pace
che non ha ragione
a lungo il cuore
resta incerto nella pena
e quasi ha in sé il timore
del riposo e della fede.
Ma è sera, veloce sempre
cresce l'ora e mi convince
del murmure ritorno
d'un ritmo di parole.



***



Perdono


Perdono sempre
alle cose
che si negano a me;
ho pietà
del mio dolore
e così risorge. 

Alberto Toni: tre poesie da "Liturgia delle ore"



Trovare il giusto passo
in questo tempo.
Dimenticato nel cuore
che non ha più spazio.
La neve dell'inverno qui ritorna.
Nel mattino
che lancia messaggi
e batte alla finestra.
Trovare il passo che non teme
la stagione morta - nell'aria di specchi
come foresta
dalle mille insidie.
E il ricordo trasforma il tempo
in una maschera di pianto - come dolore.



***



Descrive il nostro abisso il raggio
di luce nel cuore - metà della vita
è già scossa dal temporale.

E qui sopra il legno vacillante,
dai ripetuti dolori risaliamo - al cielo
scuro e lontano
dal mondo dei bambini.

In equilibrio di poesia
che nel giorno solleva
i rami secchi e ingombranti.

È la rara voce,
il superamento dell'attimo: il tempo
di vivere cercandoci.

Di là dalla natura morta delle cose.



***



Al ritorno da lunghe strade
mi accompagna un disegno
nelle parole che tornano vive:
rumori di realtà, nell'immediato
celebrare un senso.
Poi il viaggio diventa
l'ombra prima del giorno,
l'insidia che divora intero
il tempo. Rincorro
una perduta Grazia
senza rifugio.

David Maria Turoldo: tre poesie da "Canti ultimi"





E intanto i giorni


Intanto i giorni si rallentano
uno
più lungo dell'altro
e un altro
ancora più lungo, e la notte
ti esilia
per neri deserti:

quelle infinite
lucide notti! E il soffitto
e le pareti
che non sono più:

perduto
in un mare senza sponde.

E l'interminabile corridoio:
un tunnel sotto il mare
dove ti accompagna appena
una luce gialla
che balugina
non sai da dove...



***



Anche la polvere


Neppure il poeta a te più caro
è riuscito a dire il vero:
che le cose - se il tuo soffio ritrai -
sono subito polvere:

è già un infinito la polvere
sul ciglio del Nulla.



***



Almeno un poeta


Almeno un poeta ci sia
per ogni monastero:
qualcuno che canti
le follie di Dio.

La città non conosce più canti
le strade stridono di rumore:
e anche là dove ancora
pare sopravviva il silenzio
è solo muta assenza.

Ma in qualche parte
tu devi esserci, Signore.

Giancarlo Pontiggia: tre poesie da "Il moto delle cose"




GUARDI, E TEMI


Guardi, e temi
nello stridio rigoglioso delle cose
che scrollano
da sé ogni nome

vibrano

s'impollinano, tumultuano
all'appello

di un ordine incessante.



***



VITA, MA COS'È VITA. E COS'È IL FIELE


Vita, ma cos'è vita. E cos'è il fiele
che ti prende all'improvviso, quando
contemplando un cielo che ti strugge
ferrigno, rabido, cupo, che preme
sulla calotta della mente, la tua, pensi

che niente, ma proprio niente
ti potrebbe scampare da questo
franare di ore che sembrano giorni,
e i giorni anni - sospesi come un'era
lunga, vasta, immortale - o quando, fissando
un libro che stai leggendo
da troppo tempo, ormai, senti
che i nomi si sgretolano, uno per uno, ostinati,
in polvere di suoni e di niente, e implori

un senso
unico, forte, uno
stupefacente prodigio che illumini
il buio, intediato, della mente,
la tua, di nuovo,
che si spappola

in materie straripanti, ignote, formine
colorate del mondo che intanto
si congeda in addi e ancora addii

- e senti



***



DI QUESTO VIVERE


Di questo vivere
sordo, spaesato
resta come un frammento immaginoso...
Quante fiamme che bruciano, in alto; e
quante ombre in cui ti stremi,
sostando, come siamo, tra suoni rovinosi,
in radure fulminate...

Pietro Romano: tre poesie da "Case sepolte"







In un giardino


La poesia, chiedi. Solo mani per acqua e potatura posso darti. In cambio chiedo colori, profumi, essenze del tempo che si ripete senza consistenza, delle sue ossa deposte all'ombra di un battito senza pompaggio. È il vento, forse, floricoltore di voci e assenze? Sono foglie in esilio sul selciati di scontentezza. Occhi negli alberi, nei cieli: tu ti moltiplichi, vento. In questo assedio che cosa chiedi? La parola trema. Nelle sue crepe e altri scompigli: voci dove trovo riparo.



***


Sentire il peso dei corpi: d'essere polvere, gelido silenzio. Giorni di scomparsa - nudi sulla mancanza. Cifre, lettere o distanze. Parole, altre. Gioia è abbandono, nel profondo di una luce che ogni cosa cancella. Delle cose lo sguardo si richiude, ma dove? Poco di loro, rimane. Il dramma dell'altezza: sconoscere la palpebra. C'è un che di inutile nel tardare la parola: la terra è la terra e la traccia precede se stessa.



***



Lontane, mani lontane. Gli sguardi battono contro i vetri notturni, zona di transito tra nome e nome.