"La ragione della polvere" su Pelagos Letteratura




Su PelagosLetteratura, la rivista diretta da Umberto Piersanti, un'intensa lettura de "La ragione della polvere" ad opera di Mirella Vercelli.


Estratto da "Lettere a un giovane poeta" di R.M.Rilke



(...) Voi domandate se i vostri versi siano buoni. Lo domandate a me. L'avete prima domandato ad altri. Li spedite a riviste. Li paragonate con altre poesie e v'inquietate se talune redazioni rifiutano i vostri tentativi.
Ora (poiché voi m'avete permesso di consigliarvi) vi prego di abbandonare tutto questo. Voi guardate fuori, verso l'esterno e questo soprattutto voi non dovreste ora fare. Nessuno vi può consigliare e aiutare, nessuno.
C'è una sola via. Penetrate in voi stesso. Ricercate la ragione che vi chiama a scrivere; esaminate s'essa estende alle sue radici nel più profondo luogo del vostro cuore, confessatevi se sareste costretto a morire, quando vi si negasse di scrivere.
Questo anzitutto: domandatevi nell'ora più silenziosa della vostra notte: devo io scrivere? Scavate dentro voi stesso per una profonda risposta. E se questa dovesse suonare consenso, se v'é concesso affrontare questa grave domanda con un forte e semplice "debbo", allora edificate la vostra vita secondo questa necessità.
La vostra vita fin dentro la sua più indifferente e minima ora deve farsi segno e testimonio di quest'impulso.
Poi avvicinatevi alla natura. Tentate come un primo uomo al mondo di dire quello che vedete e vivete e amate e perdete (...)

Ida Vallerugo: ancora tre poesie da "Stanza di confine"




Anfore


Sei tornato a casa con due vasi comperati all'edicola.
Sembrano anfore ma troncate
dov'è più si distende il grano, il vino.

Sembrano le anfore dei quadri
che hai dipinto da ragazzo. In silenzio le hai posate
sul tavolo, con calma, sicurezza. Un gesto definitivo.
"Vado a dormire" hai detto.
E ho visto la tua testa sparire alla curva delle scale
presagio di quella curva del tempo
dove il tempo si distende e non c'è risacca, suono.

Solo il correre confuso di amore sulle rive.




***



Colloquio


Non guardo Meduno nel sonno
tua giacca, prato, per te mio luogo,

o se preme un possibile giorno

come dirti? È un sentirsi allontanare
tornare nelle cose e qui sulla porta dire ci precediamo
così tanto noi che ci aspettiamo oltre ogni notte,
ogni oscuramento, se qui la tua luce è accesa
se stringi il senso tuo della vita.
Essere sguardo. Non sentire.

Tutto il mio buio tu occupi ora.
Alzi piano la testa, per me tu la sollevi
qui e nell'antitempo la sollevi, la tortora non la piega
più sul petto. Tu che sei qui e sei universo
che sei solo rimpianto, padre, anche del dolore.
Essere nessuno ma a questa porta. E solo quando la vita
si fa stupore. Questa mia povertà
che ti allontana, perché non vedo il salto?
Ti guardi in me, specchio che non si deforma,
possibilità di un altro giorno
e mi trema negli occhi il mondo.

È qui, e non senza noi, il giorno.



***



Il buio


Questa sono io. Guardo il buio da traversare.

Grandi menti non tornarono.

si persero anche rondini, formidabili volatrici col vostro volto,
amati, che seguono naturalmente la rotta
della luce e passano deserti e città oscurate. Nessuna sicurezza.
E il vaticinio del vento sulle foglie.

Tu sei meno di tutti e nessuno ti sa qui. Ma voi già siete là.
E a voi mi stringo. E tutto, tutto mi prende

di noi, rosa inquieta del respiro.

Stefano Simoncelli: Tre poesie da "Un barelliere del turno di notte"





L'Europa è come ai tempi di guerra
e sarebbe meglio andare in letargo
in un rifugio con molte provviste
e qualche buona bottiglia di vino.

"Per le strade qui fermano tutti"
mi hanno scritto non so da dove
e all'alba ho sognato periferie
che sparivano nella nebbia
e fanali di posti di blocco
che illuminavano il niente

da dove usciva mia madre
con il cappottino rattoppato
e le scarpe distrutte dei giorni
in cui fuggiva dai rastrellamenti
tedeschi. Veniva avanti pregando

e si copriva gli occhi con le mani.



***



Non sentire più le voci
è stato il dolore potente,
continuo e insormontabile
che ho scalato con le unghie
una notte dopo l'altra a occhi
spenti, per continuare qualcosa
che somigliasse di profilo alla vita.

Dovevo andare avanti in solitaria,
controvento, sempre e comunque,
come quando arriva un'alluvione
o un'ondata anomala (le ho viste
un tempo in televisione, il Polesine,
Firenze) che si porta via ogni cosa,
tavoli, letti, libri, animali, persone

e ci si trova per caso, per sbaglio
o condanna tra i sopravvissuti
a raccattare una pentola di rame,
un piatto, una bambola o una canottiera
strisciando nel fango, nella melma,
mentre l'eco delle voci scomparse
risuonano a lutto nella memoria.

Si può andare via da quelle case
sommerse dall'acqua, distrutte,
ma non si può cambiare niente
come a quest'ora in un ospedale
della Lombardia o del Piemonte
un barelliere del turno di notte
che esce a fumare una sigaretta

nel parcheggio delle ambulanze
mentre là dentro, nelle corsie,
con lui o senza di lui, si muore.



***



Ho passeggiato qualche minuto
sotto casa tenendo il braccio
a mio padre. Era stremato,
dimagrito, e gli andava largo
un vestito nero, tutto sgualcito,
sporco di polvere e calce secca
che non avrebbe mai indossato.

"Deve avere strisciato sui muri
evadendo della quarantena"
ho pensato. Anche la voce
non era più quella dei tempi
che mi chiamava da un cortile
all'altro o in fondo allo squero,
ma stanca, sfibrata, sommessa
e di chi aveva perduto la gioia.

Pochi passi ed era scomparso
dentro una rivendita di vino.
è quello mi sta aspettando
e mi cammina sottobraccio
anche nei sogni, mi sono detto,
è la paura di essere già un'ombra
che svanisce o la sua brutta copia.

Hugo Mujica: Tre poesie da "E sempre dopo il vento"




Albeggia e taccio



Albeggia e
taccio;

taccio ogni paura, taccio qualsiasi
presagio,

cerco un'alba vergine di me,
cerco il nascere della luce,
non il suo illuminarmi.



***



Rinuncia


La ricerca non è un andare,
ancor meno è stare arrivando;

è sopportare
l'assenza di ciò che cerchiamo:
lasciarsi trovare
nella rinuncia dell'attesa.



***



Ritorno


Bisogna entrare
nel deserto
per lasciare dietro i miraggi;

bisogna tornare
a inebriarci alla fontana:
bisogna tornare alla sete. 

Ida Vallerugo: Tre poesie da "Stanza di confine"





Qui ho vissuto


Qui ho vissuto. Nessuno specchio rimanda il volto.
Qui si perdono i viaggiatori che s'inoltrano.

Non è detto che qui faccia giorno.
Qui il silenzio è la cicala sul petto.

Ma quando in questo silenzio io sento una voce,
per un attimo è sempre quella voce.



***



La notizia


Correvo in sogno.
Portavo alla città in attesa la notizia della battaglia.
Io correvo nel petto di tutti.

Improvvisa la caduta. Lo smarrimento.
"Basta un respiro" mi dice l'ombra radiosa
china su di me, familiare. "Va' ora."

Non ricordo se abbiamo vinto o perso.

"È questa la notizia da portare."




***



Chi può dire che niente torna?


Mi vieni in mente tu, Ramon,
ragazzo dagli occhi buoni, scintillanti, che t'incanti
a una nota che nessuno spartito riporta
e stai così, a invisibili sbarre, nella tua sfera

cristallo          gettato qui

nell'ultima periferia dell'impero dove si perdono
i taxi gialli della realtà, e anche le madri.

Che ne sanno gli spartiti della nota che non c'è ancora?
E chi può dire che niente torna
anche quel fiume in noi perduto che gira a spirale

in cerca dell'uscita e mai che affiori un attimo a dire
che è vero quel suono di acque

al confine del sonno           lontane.


Cettina Calió: Tre poesie da "Sulla cruda pelle"





Canto piano


La distanza
è un inciampo delle mani
soltanto
un evento minimo
cucito addosso

se sottraggo il vuoto
resta il fuoco



***



Foro dolente


Mi trascino la sentenza
del giorno prima
dentro
questo scampanio festoso
duro da masticare

seguo il passo spento
delle luminarie
e volevo dire il cielo
invece è
arida terra



***



Blues


Due
vorrei essere due
perché la voce del sax
mi costringe a chiudere
gli occhi
e vedo il vuoto
dove
tu manchi

due
vorrei essere due
tra il qui e il lì
ci sono io
che vesto sempre
uguale

Mirella Vercelli: Tre poesie da "Luce piena"


Sete


Bevo la prima luce
pura e colma
come un assetato l'acqua
di una fonte imprevista

come un moribondo
la medicina
che non lo salverà,
ma sarà buon viatico.



***



Il senso del tempo te lo dà
un asciugamano consunto,
il buco nella tovaglia,
la rotatoria inattesa su una strada
che da un po' non percorrevi
(quando fu l'ultima volta,
e dove andavi?)

È una presa di coscienza a singhiozzo,
gradini che si salgono
o si scendono, e pianerottoli
per guardarsi intorno.



***


Naviga su un mare di mosse
colline come battello ebbro
una promessa,
le vele al vento, la rotta
destinata.

Ma il fianco
incerto
vacilla a ogni folata.