Ida Vallerugo: ancora tre poesie da "Stanza di confine"




Anfore


Sei tornato a casa con due vasi comperati all'edicola.
Sembrano anfore ma troncate
dov'è più si distende il grano, il vino.

Sembrano le anfore dei quadri
che hai dipinto da ragazzo. In silenzio le hai posate
sul tavolo, con calma, sicurezza. Un gesto definitivo.
"Vado a dormire" hai detto.
E ho visto la tua testa sparire alla curva delle scale
presagio di quella curva del tempo
dove il tempo si distende e non c'è risacca, suono.

Solo il correre confuso di amore sulle rive.




***



Colloquio


Non guardo Meduno nel sonno
tua giacca, prato, per te mio luogo,

o se preme un possibile giorno

come dirti? È un sentirsi allontanare
tornare nelle cose e qui sulla porta dire ci precediamo
così tanto noi che ci aspettiamo oltre ogni notte,
ogni oscuramento, se qui la tua luce è accesa
se stringi il senso tuo della vita.
Essere sguardo. Non sentire.

Tutto il mio buio tu occupi ora.
Alzi piano la testa, per me tu la sollevi
qui e nell'antitempo la sollevi, la tortora non la piega
più sul petto. Tu che sei qui e sei universo
che sei solo rimpianto, padre, anche del dolore.
Essere nessuno ma a questa porta. E solo quando la vita
si fa stupore. Questa mia povertà
che ti allontana, perché non vedo il salto?
Ti guardi in me, specchio che non si deforma,
possibilità di un altro giorno
e mi trema negli occhi il mondo.

È qui, e non senza noi, il giorno.



***



Il buio


Questa sono io. Guardo il buio da traversare.

Grandi menti non tornarono.

si persero anche rondini, formidabili volatrici col vostro volto,
amati, che seguono naturalmente la rotta
della luce e passano deserti e città oscurate. Nessuna sicurezza.
E il vaticinio del vento sulle foglie.

Tu sei meno di tutti e nessuno ti sa qui. Ma voi già siete là.
E a voi mi stringo. E tutto, tutto mi prende

di noi, rosa inquieta del respiro.