Thierry Metz: tre poesie da "Dire tutto alle case"

 






Uccelli di campo
Seme dell'angelo -

A mezzodì, nel cuore della folgore
Quando sboccia il nido del pettirosso
Il contadino sveste i covoni

E la stagione si sgrana
Tra le mani d'amore
Luce illuminata.

(1983)



***



Vagavo tra losanghe
Con tutti gli alfabeti della terra
Nelle tasche
E scrivevo sui muri
Sui portoni
Incollare grandi lettere alitanti
Come rospi
Cifre color spiga
Che suonavano la pietra con i tacchi
Immane la fatica di dire tutto alle case
Lo sforzo di estrarle dall'argilla 

(1984)



***



Essere
quest'ultima mano
che non lascia

e sorge
lenta
altra

di passaggio nel giorno
umano
un istante
tra il sì e il no

creando un diversivo
d'uccelli come una storia della nonna
prima di dormire

ed eccoci conquistati senza rumore
liocorni approssimativi
sulla cima del pioppo

Una crepa
nell'inverno
che scrivere e vivere
sono solo un viso

contro una porta.

(1994)

Annalisa Rodeghiero: tre poesie da "A oriente di qualsiasi origine"

 






IV.



Tuttavia ci vedevano vivi e non sapevano

né mai sapranno l'afasia di certe notti

senza dorsi di luce sulla nuca

né tu mi dirai domani al risveglio, il nome,

il nome io non ti dirò - non lo sentiranno

le madri e i figli dormiranno un sonno rispettato.

Come fossero, dei semi, l'ultimo.


E mai si arrende in noi questo volare inquieto.




***




XVI



Essendo presenti a tanto stupore, trattenere l'oro dell'alba

sui boschi ancora neri del nord, nella ferita dei venti,

delle radure il respiro - dei semi deposti dai merli.

Come torbiere custodire antiche memorie nel fondo.

Imparare dai campi riarsi, il sogno di neve.


Cancellarsi come neve, come neve crearsi.




***



XXV




Ogni distacco portava con sé una nostalgia diversa,

a volte consapevolezza d'aria

                                    fresca d'alba

era l'invito a non tardare al giorno

e piazza del campo un prodigio di sogni

primaverili a fendere il tempo,

a volte spossatezza al volo, quasi un indugio.

Avere bene in mente le rondini

                                     mi ripetevo,

andare come le rondini

come rondini tornare, e tu che m'indicavi la terra

ed era sempre porpora dove mettere i piedi

a contemplare la volta

cobalto fino a quando volano le rondini.


Fino a che età volano le rondini?

Claudia Di Palma: tre poesie da "Altissima miseria"

 




Ti offro la mia bandiera bianca,
ti porto nel luogo stupendo della
mia resa, la scrittura, e spezzo
le parole come pane. Queste
briciole non hanno pietà
dell'indifferenza. Si prendono
spietata cura di tutte le cose.



***



Che moltiplichiamo il principio.
Che dietro gli alfabeti facciamo silenzio
per le cellule e i corpi. Che cerchiamo
il fonema della pelle per svincolarci
dalla solitudine. Che chi ascolta sia ampio.
Che sia ampiezza la tua vicinanza.



***



Laddove ci tendiamo le mani
ma non ci tocchiamo
c'è silenzio attorno
oppure il fruscio di voci confuse.
C'è un rumore di tenda e vento
all'unisono, cantano lo sbattere,
il bussare. Lì ci tendiamo,
ci veniamo incontro
ma non ci tocchiamo.
Dobbiamo avere molta indecisione
per guardarci negli occhi, per dire
eccoci, per ospitare reciproche differenze.


Ives Bonnefoy: tre poesie da "Seguendo un fuoco"




Qui, sempre qui



Qui, nel chiaro luogo. Non è più l'alba,

È già la giornata dai desideri dicibili.

Dei miraggi d'un canto nel tuo sogno non resta

Che questo scintillio di pietre future.


Qui, e fino a sera. La rosa d'ombre

Girerà sui muri. La rosa d'ore

Sfiorirà in silenzio. Le lastre chiare

Guideranno a loro modo questi passi che amano il giorno.


Qui, sempre qui. Pietre su pietre

Hanno costruito il paese detto dal ricordo.

A stento il tonfo dei frutti semplici che cadono

Infervora ancora in te il tempo che guarirà.




***




La stanza



Lo specchio e il fiume in piena, stamattina,

Si chiamavano attraverso la stanza, due luci

Si trovano e s'uniscono nell'oscuro

Dei mobili della stanza dissigillata.


Ed eravamo due paesi di sonno

Comunicanti attraverso i loro gradini di pietra

Dove si perdeva l'acqua limpida di un sogno

Che sempre si riformava, sempre s'interrompeva.


La mano pura dormiva accanto alla mano inquieta.

Talvolta un corpo un poco nel suo sogno si muoveva.

È lontano, sull'acqua più cupa d'un tavolo,

Il rosso vestito, una luce, dormiva.




***




La luce della sera



La sera,

Quegli uccelli che si parlano, indefiniti,

Che si mordono, luce.

La mano che s'è mossa sul fianco deserto.


Siamo immobili da molto tempo.

Parliamo sottovoce.

E il tempo resta attorno a noi come pozze di colore.
 

Philippe Jaccottet: tre estratti da "Passeggiata sotto gli alberi"

 




(...)
Credetti allora di capire che i nostri occhi - ma anche il nostro essere, anima, cuore, spirito o come si vogliano nominare le forme della nostra vita interiore - avevano la necessità di un ostacolo e di un limite e quindi anche di un fine affinché quell'essere potesse brillare e, semplicemente, vivere. Per un momento credetti di capire che si doveva benedire quella morte senza la quale la luce e l'amore, allo stesso modo delle nostre parole, non avrebbero più potuto avere alcun senso né del resto alcuna possibilità d'esistenza.
Ero obbligato a dirmi, sempre in modo leggermente frettoloso, che era dalla morte che dovevano nascere tutte le bellezze della nostra vita e tutte le nostre gioie più profonde ma, d'altra parte, che quelle gioie erano così intense e quella meraviglia così inesauribile che non potevano accettare la sorgente dalla quale erano sgorgate, che tendevano con tutte le loro forze a superarle, a risalire più in alto o a farla in un certo modo esplodere.



***



(...)
Non intendo dire che la poesia sia regalata o facile; non intendo nemmeno dire che possa nascere in qualsiasi momento, ma solamente che il lavoro poetico sembra anch'esso esigere quel singolare equilibrio tra volontà e istinto, sforzo e abbandono, pena e piacere.
È al contempo un esercizio e una ricompensa.
Un esercizio poiché esige ogni volta che ci si rimetta in quello stato di trasparenza; e il lavoro che si opera sulle parole, lasciandole fare riprendendole, modificandole in modo che alla fine la loro leggerezza e limpidezza siano le più totali possibile, non è un lavoro soltanto cerebrale: in un certo senso agisce sull'anima, l'aiuta ad alleggerirsi e a purificarsi ancora maggiormente in modo che vita e poesia, a turno, si adoperano in direzione di un miglioramento di noi stessi, di una chiarezza sempre crescente.



***



(...)
Se quello che mi è sembrato di comprendere dalle sorgenti della bellezza non è un'illusione bisognerebbe non tanto accettare la contraddizione che regola la nostra vita ma entrarvici, condursi fino al suo punto più estremo, ovvero vivere adorando la bellezza quanto più ardentemente tanto più è fragile, in quel luogo in cui ci sono più gioie perché ci sono più minacce. 

Rainer Maria Rilke: un estratto da "Lettere a un giovane poeta"

 






E se torniamo a parlare della solitudine, si chiarisce sempre più che non è cosa che sia dato scegliere o lasciare. 
Noi siamo soli. Ci si può ingannare su questo e fare come se non fosse così. È tutto. Ma quanto meglio è comprendere che noi lo siamo, soli, e anzi muovere di lì.
E allora accadrà che saremo presi dalle vertigini; ché tutti i punti, su cui il nostro occhio usava riposare, ci vengono tolti, non v'è più nulla di vicino, e ogni cosa lontana è infinitamente lontana.
Chi dalla sua stanza, quasi senza preparazione e trapasso, venisse posto sulla cima di una grande montagna, dovrebbe provare un senso simile: una incertezza senza uguali, un abbandono all'ignoto quasi l'annienterebbe.
Egli vaneggerebbe di cadere o si crederebbe scagliato nello spazio o schiantato in mille frantumi; quale enorme menzogna dovrebbe inventare il suo cervello per recuperare e chiarire lo stato dei suoi sensi. Così si mutano per colui che diviene solitario tutte le distanze, tutte le misure; di queste mutazioni molte sorgono d'improvviso e, come in quell'uomo sulla cima della montagna, nascono allora straordinarie immaginazioni e strani sensi, che sembrano crescere sopra ogni misura sopportabile.
Ma è necessario che noi consumiamo anche questa esperienza.
Noi dobbiamo accogliere la nostra esistenza quanto più ampiamente ci riesca; anche l'inaudito, deve essere ivi possibile.

Abbas Kiarostami: sette poesie da "Il vento e la foglia"

 






Nella mia vita
né tanto lunga
né tanto breve
ha nevicato per quasi dieci anni.



***



Kilometri e kilometri di arsura,
kilometri e kilometri di pioggia
negli occhi di chi spera.



***



Soffiava da occidente a oriente
il vento
andava da Oriente a occidente
la luna,
dal cielo alla terra
la pioggia
dalla terra al cielo
la polvere.



***



Qualcuno al di là del muro
qualcuno al di qua
non lo sa
né l'uno
né l'altro
solo il poeta lo sa.



***



Quando non ho nulla in tasca
ho la poesia
quando non ho nulla in frigo
ho la poesia
quando non ho nulla nel cuore
non ho nulla.



***



La stradina tortuosa non ha fine
passa una piccola nuvola
sopra la mia testa
ina nuvola soffice come un guanciale,
le scarpe mi fanno male.



***



Ho attraversato la foresta coperta di nuvole
la montagna scura fino al mare azzurro
eppure
sono ancora triste.

Philippe Jaccottet: tre prose poetiche da "E, tuttavia"

 






Cosa senza necessità, prezzo o potere.

Fiori che tuttavia non avevo mai visto più vicini, e reali, forse a causa della nube imminente della fine, come si vede la luce farsi talvolta più intensa prima di notte.
Fiori vicini, da far scordare la fine del percorso, quando il viandante capisce finalmente che, se anche il cammino lo conduce ogni volta verso casa, lo conduce anche, ineluttabilmente, lontano più lontano da ogni casa.



***



Ogni fiore che si apre, si direbbe che apra i miei occhi. Nella disattenzione. Senza alcun atto di volontà da una parte o dall'altra.

Apre, nel proprio aprirsi, un'altra cosa, molto più di se stesso. È il presentirlo che ti sorprende e ti mette allegria.

Proprio quando ti capita ormai, in alcuni momenti, di tremare, come qualcuno che abbia paura, e che creda o pretenda di non sapere perché.



***



L'ultima suonata per piano di Schubert, tornata alla mia mente ieri sera; e, dalla sorpresa, mi sono detto semplicemente, una volta di più: "Ecco". Ecco quel che inesplicabilmente ci tiene in piedi, ritti, contro le peggiori tempeste, contro l'aspirazione del vuoto; Ecco quello che merita, definitivamente, di essere amato: La tenera colonna di fuoco che ci conduce, persino nel deserto che pare non avere limiti, o fine.

Franco Loi: tre poesie da "Aria de la memoria"

 




Lü l'è 'l silensi, e mí ghe parli dâs,
sensa risposta, sensa mai sentí
ch'i fjö che giöga, i rumur luntan,
e l malincunia che vègn de mí.
Che lü me sculta sun sicür, e i man
roben la lüs che per amur l'è lì,
ma vuraría un dí vess mí a scultà,
e mí dàgh lü la lüs e lü lí a dí.


Lui è il silenzio, e io gli parlo adagio, | senza risposta, senza mai sentire | che i ragazzi che giocano, i rumori lontani, | e la malinconia che viene da me. | Che lui mi ascolti sono sicuro, e le mani | rubano la luce che per amore è lì | ma vorrei un giorno essere io ad ascoltare, | e io a dare a lui la luce e lui lì a dire.



***



Pieghi un pú la testa tra i penser
e de luntan me vegn malincunia,
e ridi, 'dasi, sensa sens, ma ridi,
pö vardi 'n arbur che trèma per la mort
che passa rent a mí. L'è 'na busia?
o l'era el vent? Stranier a la mia sort,
e mí a mí nemîs vo lungh la via.


Piego un po' la testa tra i pensieri | e da lontano sopravviene la malinconia, | e rido, adagio, senza senso, ma rido, | poi guardo un albero che trema per la morte | che passa accanto a me. È una bugia? | o era il vento? Straniero alla mia sorte, | e io a me stesso nemico vado lungo la via.



***



Mí vöri, mí de mí, sentím luntan,
che mí stu poch tra mí ma semper föra,
sun là che disi: "Spetta, vu a cercà..."
E, menter mí vu là, luntan, despersa
vegn la speransa mia cume a cercàm,
e mí sun là due Diu me par che spèta
e lü, cun mí, l'è desperâ a truàm...
Mai mí in amur g'û avü tanta passiensa:
sentíss luntan, e cundannâ a cercàm.


Io voglio, io da me, sentirmi lontano, | ché io sto poco tra me ma sempre fuori, | sono là che dico: "Aspetta, vado a cercare..." | E, mentre vado là, lontano, dispersa | viene la speranza mia come a cercarmi, | e io sono là dove Dio sembra aspettarmi | e lui, con me, è disperato a trovarmi... | Mai in amore ho avuto tanta pazienza:| sentirmi lontano, e condannato a cercarmi.





Reidar Ekner: tre frammenti di poema da "Dopo molte migliaia di radiazioni"



La stanza che già da sei mesi abitiamo

è una clessidra senza tempo.

Lentamente scorre la sabbia

di mille anni. Che i granelli sono contati,

lo sappiamo, il numero però

non ci è noto. Il tempo trascorre e si ferma qui,

nella stanza che intanto è diventata la tua vita.




(...)




Questa notte il tuo respiro quasi non lo sento,

devo piegarmi su di te per vederlo.

Fluisce la goccia silenziosa e quieta

e la notte è tranquilla, nonostante il ronzio

del traffico intenso sul viale che penetra

dalla finestra aperta di una spanna.

Le gocce cadono, quindici

al minuto, cadono così

da quattro settimane, cadranno così

per il resto della tua esistenza breve.

La goccia ti tiene in vita, il cibo

non riesci a trattenerlo, nemmeno

riesci più a inghiottire altro

che la dose quotidiana di compresse, compresse

contro gli spasmi, contro la pressione cerebrale,

contro la nausea, l'agitazione e i dolori.




(...)




Tu hai vissuto, e ancora vivi.

È debole l'alito del tuo respiro, ma quieto e caldo

io lo sento sulla mia guancia. La tua vita sarà breve

Ma breve non è privo di senso.

In questa breve vita, tu

hai vissuto più cose di altri

che, di tempo, forse, ne hanno avuto dieci volte tanto.

Hai diffuso intorno a te luce e gioia

e lo fai ancora, possiedi una forza interiore che consola i tuoi,

che ora ti stanno accanto

- Con grandi occhi osservi gli adulti

che troppo facilmente, come bambini, sono confusi

e piangono, si lamentano o perdono il controllo.

Certo, è dura, ma tu la prendi come viene.

Rispondi "Così così" quando stai male

e "Benissimo", se appena il dolore

ritira i suoi artigli. Lo spazzi via, il dolore.

"Dammi il blocco, voglio disegnare!"

In principio la tua mano trema,

ma poi ogni volta per un po' funziona. "È

per la nonna". Ecco, e ora la vita ha il suo corso,

un'altra non l'abbiamo. Insegnami

la tua pazienza, la tua costanza.