Silvia Rosa: tre poesie da "Tutta la terra che ci resta"



Persino i leoni, qui, hanno denti umani

e sfoggiano criniere di galena, intagliate

con scrupolo. I loro occhi sono tracce

cuneiformi di palinsesti e programmi

seriali, costellati di insuccessi e di bachi.

Le loro fauci grondano scansioni criptate

intanto che le periferiche dei nostri volti sono

allineate per dimensioni di globuli bianchi 

e anticorpi. Sembra che attendano di sfigurarsi

in apparizioni, sostituirsi ai neuroni,

alle braccia, alle mani, convogliare

le nostre visioni in dispositivi di protezione,

integrarsi nelle rientranze molli dei nostri corpi,

superare ogni scissione con cognizione di causa,

liberarci dall'agonia della crepa, della frattura

dei bordi, dai limiti della memoria




***




È quel gesto che resta sospeso a metà,

la dirittura d'arrivo di un progetto

per un niente mancata, il filo di capelli

appeso come un sonaglio reattivo

al primo dente del pettine,

la velatura di madreperla che omette

le evidenze familiari del corpo, precisamente

è questa la dolenza che lasciano in sorte

quelli che se ne vanno, di spalle:

si avventurano dentro un budello argenteo

di zinco e fosfeni fino a un risucchio lattiginoso

di luce, non sentono i nostri richiami

a voltarsi, a rientrare, oltre le soglie

di vetroresina da cui li osserviamo

perdere consistenza, diventare ricordi.


Dove ritrovare le loro orme di odori,

le ragioni della distanza, i loro commiati?




***




La progressione del grigio è compiuta

- guarda - il nervo ottico è un ingranaggio

larvale, frastagliato e composito: ora possiamo

osservare in uno schermo HD il simulacro

delle nostre esistenze, scrollarci di dosso

lo strappo della nascita, in modalità multifocale

scrutare attentamente lo spettro luminoso

delle nostre cellule e scremarle

affinché la lattescenza in nuce prenda congedo: 

nella qualità del nero stiamo acquattati

a fissare su lamine le distorsioni impresse

al movimento ondulatorio, siamo

in contemplazione di noi, dei nostri

riflessi che rimbombano. Un giorno

non ci ricorderemo più il senso

dell'orizzonte, il morso del cielo

e la sua traccia turchina sulla retina.