Jean-Claude Izzo: tre poesie da "Lontano da ogni riva"

 





Forse sono stanco. Di non aspettare niente. Appena immobile, come un cipresso. Sull'oblio, veglio. E la morte si interroga.

Mi ricostruisco una memoria con questi poveri cardi e pietre. La luce profonda come l'acqua mi rende l'avvenire impossibile. So tutto di ciò che brucia o disseta. Ma solo gli opposti, forse, cementano l'oggi, queste ore sfuggenti verso le quali le mie dita tendono.

Mezzogiorno: mi è sembrato di essere pronto per ricostruire la luce.
(...)



***



Il clamore delle ore
è in cima
al più alto cumulo di macerie.

I miei piedi nel l'ombra di un ruscello.

Il tempo sembra contenuto
in questa siccità
che asseta l'acqua stessa delle fontane.

Ci sono stati gli ultimi fuochi.
Non c'è più niente da bruciare,
né un ceppo né un tralcio.

La morte si compie:
stagione regnante
controsole.



***



Ora la Terra è nuda. Nozze: la luce spessisce la luce - il sole svia dal suo corso un torrente - dritto, immobile, accecato. Cerco: non sento ciò che tramano acqua e cielo, e la mia vita si interroga.

Vi sono segreti inaccessibili alla comprensione: l'accanimento a vivere nell'aridità mentre si esaurisce la speranza - il grano, e la mano che falcia, la lingua che nomina il grano.

Allora, scambiare la mia memoria contro la luce: mezzogiorno, economia delle parole.
(...)