Franco Facchini: tre poesie da "La parvenza del vero"




Negli ampi spazi si accede

al maggiormente vuoto.

Lo sguardo è nel solito perpetuo

distacco da sé, è in sé smarrisce

il senso dei confini.


Più si apre il mondo, e più dentro di noi

ci perdiamo. Più lo spazio diventa

grande e incontrollabile, e più sentiamo di essere

costretti, chiusi nei contorni dell'anima

inascoltata delle cose.




***




Guardando in questo modo qua, senza vedere, così

come facciamo quando la luce cade dentro di noi,

nasce un pretestuoso vuoto che instaura un accalcarsi

di momenti e di età e si installa in un punto della strada

indovinato da un odore di pane e dolciumi.

Sembra sia frutto dell'immaginazione, mentre lo sguardo

è solo a metà del sentimento e il sentire è tutto

chiuso nell'oblio. Così, affrettando il passo, andando oltre,

cercando più in profondo, si arriva a un altro punto,

a un'altra strada, si scopre un altro odore e ne vien fuori

una lontananza, un vuoto di visioni, una vertigine,

nel moto del restare di ogni passo e spostamento.




***




La straordinaria immobilità

di quello che ci appare protetto

dalla sua similitudine,

spinge lontano lontano

lungo il pensiero.

Qualcosa di simile a un distacco

dentro il vivere,

tra noi e la nostra presenza.

Noi che siamo costanza di tempo

e asciughiamo concetti in parole,

costringendo la cosa che siamo

a un silenzio, a un evento già stato.

E le piante qui attorno

sono di un grande verde, le foglie

un corpo di luce le attraversa.

E noi pensiamo a come era prima,

alle cose che abbiamo perdute,

girando lo sguardo sugli oggetti

di questa mancanza, sprofondando

nella luce che ce li fa riconoscere.