Roberto Carifi: ancora tre poesie da "Nel ferro dei balocchi"

 






Poi siamo andati, come una volta,
lungo l'Arno deserto
eroi di quartieri senza luce
a guardare l'adolescenza che ama
e non si ammala,
perduti in un cappotto grigio
abbiamo detto ecco i figli che tornano
con le facce dementi
e un cuore più grande del nostro
mentre la pioggia ci consuma
insieme a questa colpa.



***



Le cose non dimenticano,
hanno troppa memoria.
Si rammenta di noi questa finestra
che un tempo, chiusa, proteggeva
i nostri corpi, lasciava passare
uno spiraglio che ti baciava il viso.
Chissà se vedeva la minaccia,
chissà se piange la finestra!
Ma noi duriamo, nelle cose.
e parlano, ragionano di noi,
specialmente se si accende un lume
e lo porta una mano misteriosa.
Chissà se piangono le cose,
se questo freddo e la loro nostalgia.
Ricordi, stanza, come l'aspettavamo?
E tu, quaderno consumato, e voi,
finestra, porta, sedie con le sue forme,
terrazzo che mi somigli, così sospeso,
avete atteso invano il suo ritorno?



***



Passasti con quella luce in pugno!
Dissi: "Non so, sono molto poco dell'amore.
Giù c'è un abisso, lo conosco bene."
Tu mi prendesti per la giacca,
metà del mio viso era già ombra.
Dissi: "Corriamo, tu sarai la mia corsa.
Ti seguirò? Sono al tuo fianco, adesso."
Abbiamo corso, volato, qualche volta.
Di certo ci sono foglie secche,
qualcuno le calpesta, stridono in fondo al cuore.
Di certo la stanza è un rettangolo d'angoscia
e il buio completa la sua opera.
Ogni tanto sprofondo nel cappotto,
accelero il passo come fossi atteso.
Più spesso una voce mi precede. Sono in ritardo,
penso, hanno già chiamato!
Allora vorrei che mi afferrassi per il bavero,
che mi tirassi via, dove c'è luce.