L'ultima poesia dell'anno
Vittorio Bodini: tre poesie da "Tutte le poesie"
Che ricamo di fiamme su un vuoto petto!
Che furia d'aghi da lontano,
e battere a ogni porta: "Che sapete
voi del mio viaggio?" (Tante cose
da cui non andavo lontano più che non fossi.)
Ora dovrei sapermi in un quartiere straniero
dove nei vetri dei caffè,
in arancio o celeste,
pallidamente palpitano vite
parallele nel lutto d'una chitarra.
Calle del Pez: esiste una via di questo nome
in un paese d'Europa,
e subito non esiste più,
passa sull'altra sponda, e la finestra,
la finestra ch'io vidi splendere,
e la porta socchiudersi;
e ora son dentro e tutto mi riconosce,
la musica del piano per me s'arresta...
***
Qui non vorrei morire dove vivere
mi tocca, mio paese,
così sgradito da doverti amare;
lento piano dove la luce pare
di carne cruda
e il nespolo va e viene fra noi e l'inverno.
Pigro
come una mezzaluna nel sole di maggio,
la tazza di caffè, le parole perdute,
vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano:
divento ulivo e ruota d'un lento carro,
siepe di fichi d'Iindia, terra amara
dove cresce il tabacco.
Ma tu, mortale e torbida, così mia,
così sola, dici che non è vero, che non è tutto.
Triste invidia di vivere,
in tutta questa pianura
non c'è un ramo su cui tu voglia posarti.
***
Quando fu l'ora
Quando fu l'ora
gli orologi avevano perduto la voce
e la pietra lunare del cui bagliore
sinistro si era nutrito il mio esilio
scivolò in mare dove qualcuno
un giorno la troverà, qualcuno che invidio
perché sarà come me triste e ilare
quand'io non potrò più esserlo.
Camminerà sulle rive
dei miei pensieri di ora
credendo d'essere solo, solo e diverso,
e un giorno, dopo una pioggia, in una grotta del cielo
vedrà un celeste limpido e disperato
(limpido e disperato amore mio!)
e lì potrebbe scorgere, mestamente confuse,
le tracce dei miei passi nell'infinito.
Carlo Giacobbi: tre poesie da "Abitare il transito"
Francesco Scarabicchi: altre tre poesie da "La figlia che non piange"
Ti guarderò da questa vita attesa
Ti guarderò da questa vita attesa,
da una fermata d'autobus, da un destino
che mi tiene lontano e sai che sono
più vicino che mai alla tua resa,
occhi che non si sporgono e non danno
luce a chi la chiede,
sguardi che vanno dove tutto è niente,
a una finestra d'angolo, ad un cielo
di musiche e di voci tutto intorno.
***
Ah
Ah, il tempo che passa alle mie spalle,
sulle mie scarpe nuove, sulla pelle,
il giovane tempo che non ho incontrato,
il tempo abbandonato a mia insaputa,
quello smarrito lungo vie contrarie,
il tempo solitario d'ogni notte,
il tempo che mi viaggia e non ritorna,
tutto il tempo del tempo che c'è stato,
il tempo immaginato che perdòno,
quello di un'altra estate che scompare,
il tempo innamorato che è lontano,
il tempo che si volta non si ferma,
il tempo muto che si fa guardare,
il tempo intero che non puoi pensare,
quello che prende solo per lasciare.
***
Città
Scivola l'ombra, svisa, si dissolve in una scia, tra l'Angelo e la Cupola, prima del ponte sopra il fiume, prima d'un crocevia che non ha nome. Così s'annuncia la città, nel tempo che scompare e resta eterno mentre lei sceglie la fuga da una porta o un davanzale, s'annienta e si ricrea fedele come il sogno di un padre, a ridosso dell'occhio di un istante, quel tanto che le basta trattenere prima del precipizio, prima del vuoto in cui s'eclissa la verità che mente, l'unica che conosca il povero segreto delle cose. Essere l'emozione che si ferma al ciglio, il fiore sull'abisso, lo stupore che fa muta la voce e puro il viso. Non si conosce mai l'ora dell'attimo, il momento in cui decide di mutarsi in altro, quel suo morire d'essere, quell'essere che dice sì d'istinto e si consegna alla virtù del caso, ad una sorte ignota, al fioco lume che incendia il cielo della notte quando la via è silenzio e appena avverti delle fontane il fresco del respiro, il volto interrogare chi l'osserva.
Francesco Scarabicchi: tre poesie da "La figlia che non piange"
Biagio Marin: tre poesie da "Poesie"
Ne avevamo quattro di figli:
la casa suonava di loro
come salmi entro la chiesa;
ogni bocca era una fonte di nuova frescura,
di grandi risate, di canti,
di belle parole sonanti che
andavano per l'aria
farfalle di tanti colori,
scintille d'oro.
In tutte le ore,
che gioia sentirli!
Adesso la casa è zitta,
la tavola tagliata
quadra di rovere
ha duri gli spigoli,
e vasto è il piano,
più vuoto per tanto gran bianco.
Bicchieri e due piatti
si perdono, si guardano l'un l'altro,
con un piccolo ridere disperato.
E noi mangiamo in silenzio
la testa ficcata nei piatti,
bocconi sapore d'assenzio.
Tanta gravità disfatta,
dispersa dal vento,
un nuvolo d'oro d'estate,
nebbia di rosa autunnale.
E noi qua soli:
pareti che ci guardano cuori
che ci dolgono,
per avere tutto perso,
la bella illusione della vita.
***
Lascia che il tempo passi,
tienti ferma alla terra;
si placa il cuore, si calma la bufera,
e sul mondo torna la bonaccia.
Quando soffia forte,tienti alle radici
per avere, domani, la fioritura;
non avere paura:
dopo il maltempo volano le rondini.
È paziente ogni pianta
ed aspetta i suoi fiori,
la luce dell'aprile, i profumi,
l'aria che sa di sole e canta.
La primavera ha pianti e dolori,
i rami si lamentano al vento:
ma dopo, lento, ma contento,
ogni ramo nel cielo mette foglie.
***
A Falco
VI
Figlio, ombra di chiglia
non dura un momento,
anche se mille miglia
ha fatto il bastimento.
Gli uomini sono avari,
ogni vento li muove
a nuove cove
sulle rive dei mari.
Traccia sul mondo nessuno lascia,
neanche i cuori sovrani:
i venti vanno lontani,
e tutto al mondo passa.
Tu avevi ventiquattro anni,
il cuore come un giardino,
quel chiaro lume gentile
consola i nostri affanni.
Francesco Tomada: altre tre poesie da "Affrontare la gioia da soli"
Alla fine
I miei occhi somigliano a quelli di mia madre
nel marrone così anonimo e comune
lei li avrebbe preferiti chiari
invece le diventarono celesti
solo un attimo prima di morire
so che allora ho pensato alla sua vita
di poche gioie e tanta fatica
al figlio ombroso e scostante che sono stato
e che almeno due dei suoi desideri
si stavano avverando
il secondo era che in quel momento
io fossi lì
***
Lokve
Un'altalena vera deve avere
un'impalcatura di legno artigianale
un'asse e quattro corde
dei chiodi arrugginiti
che venga naturale chiedersi se tiene
un refolo di vento per potersi sbilanciare
e infine un bambino felice
Se non c'è il bambino
può bastare anche un uomo fatto
a patto che ci creda ancora
che a spingersi di gambe
distendere
piegare
distendere
piegare
si può arrivare lì dove si tocca il cielo
***
Preval, gennaio
A saltare sul ghiaccio delle pozzanghere
si ripete un piccolo miracolo
se la crosta si spezza con un suono secco di piastrella
sotto non c'è niente
dov'è andata a finire l'acqua
se invece resiste si resta sospesi
sul vuoto di un cielo consolidato
è un gioco in cui si vince sempre
infatti non ho mai smesso di giocarlo
sono qui storto con un piede sprofondato nel fango
l'altro su un pezzo di lastra intatta e trasparente
non c'è niente di cui devo preoccuparmi
se qualcosa si è rotto
a ripararlo
ci penserà l'inverno
Francesco Tomada: tre poesie da "Affrontare la gioia da soli"
Ulisse Morgione: tre poesie da "La cura del liutaio"
Marco Marangoni: tre poesie da "Sentimentalissima luce"
Dietro le mie parole
è il silenzio
come la città intorno
e l'oceano buio
in cui navigo;
non c'è fondo mai
nello sguardo
ma è dove
sempre torno, sempre vado
***
Se oggi mi incroci,
è nel taglio che s'apre
o si sfrangia nel buio
che mi indichi delle felci,
ma dove si scoscende, grado a grado,
(tra idillio e tempo)
e finché è l'occasione
e la vita ci destina con un taglio,
col nome
***
Come se il doppio fosse il volto unico
che ci corrisponde,
è a Dedalo che penso a volte
(e al labirinto
che pure disegnò
di corridoi e strade)
mi perdo nei rapporti che non distinguo,
tra l'opera e il creatore
(...)
finché un'ombra non mi supera...
e le domande
come quando credevo di averti
e non ti ho mai avuta di fronte
Italo Testa: tre poesie da "Tutto accade ovunque"
NON POSSO PIÙ TRATTENERE LE COSE FUORI
Sull'impiantito
l'albero mi sovrasta
la parola che dico
ghiaccia dentro la bocca
NON POSSO PIÙ TRATTENERE LE COSE FUORI
La neve s'accumula
e invade le stanze
la pioggia sul letto
precipita fitta
***
Guarda come è fatto un giorno
e un'ora
e ancora un giorno
Guarda come è fatto un minuto
e un istante
e ancora un istante
***
TUTTO ACCADE COMUNQUE
Se allargo le braccia
la stanza s'allarga
dietro le imposte
il prato riluce
TUTTO ACCADE COMUNQUE
Sono seduta
e scivolo sull'erba
sono seduta
e cammino in cerchio
Beppe Salvia: tre poesie da "Cuore"