Matteo Munaretto: tre poesie da "Preparativi per l'arca"
Franco Loi: tre poesie da "Lader de Diu" (Quando Dio canta)
Se mi addormento in me mi viene paura,
è come perdere la vista, chiudere un portone,
trovarsi di notte per una salita buia
dov'è l'ombra che io ero non ha più luce...
E dove sono? Quale aria mi ha mosso?
Più cammino e più mi gira la testa,
non sono più io ma un altro che dietro il muro
cerca Dio e lui si tiene nascosto,
forse scappato dietro di me dove c'è buio.
***
Si scivola su delle pietre che fanno paura
e non troviamo più la strada per tornare
- come oscuro il fogliame che matura a stento!
Che nebbia è la luce del nostro pensare! -
Camminiamo come ubriachi nella notte più tetra
e facciamo fatica a camminare, toccare...
Mi piacerebbe un giorno sognare la sera
una luce che canta e che fa cantare,
essere simile alla luce d'un'anima che vera
ti fa la vita senza mai logorarla...
***
Nel ventre della vita Dio ti fruga.
Come chiamarla questa spina che crea rose?
È come un principio, una fine, un'inquietudine,
una vespa che ti punge e t'invoca,
e tu, come i sordi e gli orbi, non rispondi.
Io Dio non so chi è, non so niente di lui...
... È come una voce di voce che parla dentro
E chiama dentro un corpo al nulla di lui.
Federica D'Amato: tre poesie da "A imitazione dell'acqua"
di un fianco solare nei paraggi
di quella pagina chiamata amore.
Ma oggi non hai tempo,
oggi che qualcosa cade in dono
per te dalla guizzante memoria
luminosa dei tuoi vent'anni,
oggi non vedi l'ora vai a camminare
sul mare a vedere i chiari della gente
i segni in corso verso gli occhi,
hai tempo, dici oggi non ha tempo
il tempo c'è il sole non soffrire,
ci penserai più tardi al tardi che lesto
s'abbuia e divora tutte quelle cose
che mai farai in tempo ad amare.
***
Conoscere quella bellezza
lontano dal fatto, pure
vederti in trasparenza
nella filigrana del sole,
un giorno di vacanza:
tu non parli con me.
Eppure riconoscere quella bellezza
evocata dal momento, lì
solo per me
trafitta assenza in un poco
suono di presagi
imminenti, tu sposa
tu spina centifolia
di chiarore tra le
dita del saluto.
***
Avrei voluto essere
il primo mattino
il primo gelo di novembre
la prima volta che si vede
la realtà e somiglia a una montagna
o alla tua foto di quando avevi sei anni
la prima volta che hai pianto
perché tutto era già scritto.
La prima volta che a memoria
hai contato
da uno
fino
a dieci.
Jean-Claude Izzo: tre poesie da "Lontano da ogni riva"
Bianca Dorato, tre poesie da "Sël finagi"
Le poesie sono state scritte, in origine, in dialetto piemontese e poi tradotte in italiano. Per una questione di comodità si riporta qui la versione in lingua italiana.
Sulla pietra lunga
Sulla pietra lunga della tua soglia
fredda e limpida la rugiada -
e la notte veglia, cupa,
dentro il vuoto delle tue finestre.
Splendida la voce amorosa
fuggita lontano per sentieri d'erba,
suggello infuocato che chiude
il recinto della tua stagione.
Pura e solitaria, la luna
solleva allo sfavillare del tuo cammino
il respiro di pallide montagne:
immota, tu custodisci il silenzio.
***
Ore
Così a lungo la vampa del sole
ci ha posseduti qui sul dosso -
nell'inverno, ghiaccio che scioglie
a dicembre, fiori sbocciati
Bello l'alpeggio di legno e pietre
che tante stagioni ha conosciuto
e l'uscio che appena scricchiola
- d'un passo atteso si rallegra
Se verrà l'ombra, io non so:
così pregna di luce tutto intorno
è la neve - e sul colle lassù
splendore di sole che indugia
Se verrà l'ombra, un brivido
freddo sull'anima, io non so.
Ore di gioia e ore di tristezza,
quante, qui, già sono trascorse?
Solo impallidire, e non ancora crepuscolo,
e l'azzurro trasfuso nella neve.
Più bella ancora che il mezzogiorno
questa luce che quieta ci accompagna.
E come dolce, al ritorno,
ancora mescolare le orme:
e come chiara, nella sera
che giunge, la nostra traccia.
***
Io li conosco
L'ultimo schianto, forse, già spento sulle pietraie,
già compiuta ogni danza, già pagato ogni desiderio.
Già passati come bufera l'amore ed il pungolo
selvaggio: e vanno sicuri sulla neve dei pendii
allungo da valle a valle affondando le loro tracce.
Ha un tempo la follia, ed un tempo più lungo i passi
attraverso l'inverno, la fame e la pazienza:
io li conosco i loro luoghi lassù, dove il vento libera
dalla neve i loro pascoli, e gli steli dell'erba dorata
colgono luce prima di farsi nutrimento.
Bello deliziarsi lenti, senza rimpianto né desiderio,
d'erba e di luce insieme, là sul pendio ventoso:
godere del sole e tosto resistere alla gelata
di giorno in giorno presaghi del giungere della primavera.
Io li conosco, i loro luoghi lassù. Ma mi tormento qui, ferma,
come sasso di pietraia che il tempo non ha mutato.
Intatta davanti a me solo la nevicata bianca
e dentro di me, uguale, la bufera mai placata,
quel desiderio di sempre, quel pungolo bruciante,
confitto nell'anima che si strugge, brama che non mi abbandona.
Roberto Pazzi, altre tre poesie da "Un giorno senza sera"
Iosif Brodskij: tre poesie da "Poesie italiane"
Ripulito, stirato, il lenzuolo del golfo
freme coi suoi volants; l'aria incolore
si condensa un istante in piccione, in gabbiano,
ma si dissolve subito. Fuori dall'acqua,
barche, barconi, chiatte, gondole somigliano
a scarpe scompagnate, gettate sulla sabbia
che scricchiola sotto la suola. Ricorda:
in sostanza, ogni movimento è
spostamento del peso del corpo in altro luogo.
Ricorda che il passato non può iscriversi
senza residui nel ricordo, e che il futuro
gli è necessario. Ricorda bene:
l'acqua, soltanto l'acqua, sempre e ovunque
resta fedele a se stessa, insensibile
ad ogni metamorfosi, liscia, distesa
là dove non è più terraferma. E tutto il pathos
della vita, all'inizio, il mezzo, il calendario
che si sfoglia, la fine, eccetera, svanisce
in spume lievi, eterne, senza tinte.
Il duro, morto fil di ferro del vigneto
trema per la sua stessa tensione. E gli alberi
nel parco nero in niente si distinguono
dal muro, simile all'uomo che nulla ha più
da confessare, e, soprattutto, nessuno a cui farlo.
Imbrunisce. Silenzio, non c'è vento.
Scricchiolio di conchiglie, fruscio di canne
schiacciate, marce. Un barattolo preso a calci
vola in alto e scompare dalla vista.
Neppure dopo un minuto si distingue il suono
della sua caduta sulla sabbia umida.
Né tanto meno il tuffo.
***
Abbraccia l'aria pulita, come fanno i rami di questi pini:
fra le dita ne resta quanto sul vetro, sul tulle.
Ma dalle nubi non torna più azzurro l'uccellino,
e anche noi non siamo proprio dèi in miniatura.
Perciò siamo felici: siamo un niente. E cime,
ed orizzonti, eccetera, spezzano questa pelle liscia.
Corpo e rovescio dello spazio, comunque la si giri.
E perciò stesso noi siamo infelici.
Appòggiati piuttosto questo portico, attraverso
la camicia il muro rinfrescherà le spalle;
e guarda come il sole tramonta sopra parchi e ville,
e come l'acqua, maestra d'eloquenza,
scorre da fessure rugginose, e non ripete
nulla salvo la linfa che suona l'ocarina,
e salvo il fatto che cruda, fredda,
trasforma il viso in liquida rovina.
***
Scrivo questi versi, seduto all'aperto su una sedia bianca,
d'inverno, con la sola giacca addosso,
dopo molti bicchieri, allargando gli zigomi
con frasi in madrelingua.
Nella tazza si raffredda il caffè.
Sciaborda la laguna, punendo con cento minimi sprazzi
la torbida pupilla per l'ansia di fissare nel ricordo
questo paesaggio, capace di fare a meno di me.
Nasce PORTOSEPOLTO, collana di poesia di peQuod
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto
(G. Ungaretti)
Portosepolto è stata, anni or sono, una rivista cartacea che ha girato parecchio per Torino, nel primo decennio degli anni 2000.
Portosepolto, oggi, dopo più di quindici anni da quel tempo, diventa una collana di poesia, da me diretta, all'interno della casa editrice peQuod.
Portosepolto pubblicherà, nel corso dell'anno solare, tre sillogi: due su invito diretto da parte del direttore di collana, una in base alle proposte ricevute.
Per qualsiasi informazione, necessità di chiarimenti o eventuali proposte (inviare solo sillogi complete), potete scrivere a portosepoltopequod@gmail.com.
A presto,
Luca
Luigi Fontanella: tre poesie da "Monte Stella"