Philippe Jaccottet: tre estratti da "Passeggiata sotto gli alberi"

 




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Credetti allora di capire che i nostri occhi - ma anche il nostro essere, anima, cuore, spirito o come si vogliano nominare le forme della nostra vita interiore - avevano la necessità di un ostacolo e di un limite e quindi anche di un fine affinché quell'essere potesse brillare e, semplicemente, vivere. Per un momento credetti di capire che si doveva benedire quella morte senza la quale la luce e l'amore, allo stesso modo delle nostre parole, non avrebbero più potuto avere alcun senso né del resto alcuna possibilità d'esistenza.
Ero obbligato a dirmi, sempre in modo leggermente frettoloso, che era dalla morte che dovevano nascere tutte le bellezze della nostra vita e tutte le nostre gioie più profonde ma, d'altra parte, che quelle gioie erano così intense e quella meraviglia così inesauribile che non potevano accettare la sorgente dalla quale erano sgorgate, che tendevano con tutte le loro forze a superarle, a risalire più in alto o a farla in un certo modo esplodere.



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Non intendo dire che la poesia sia regalata o facile; non intendo nemmeno dire che possa nascere in qualsiasi momento, ma solamente che il lavoro poetico sembra anch'esso esigere quel singolare equilibrio tra volontà e istinto, sforzo e abbandono, pena e piacere.
È al contempo un esercizio e una ricompensa.
Un esercizio poiché esige ogni volta che ci si rimetta in quello stato di trasparenza; e il lavoro che si opera sulle parole, lasciandole fare riprendendole, modificandole in modo che alla fine la loro leggerezza e limpidezza siano le più totali possibile, non è un lavoro soltanto cerebrale: in un certo senso agisce sull'anima, l'aiuta ad alleggerirsi e a purificarsi ancora maggiormente in modo che vita e poesia, a turno, si adoperano in direzione di un miglioramento di noi stessi, di una chiarezza sempre crescente.



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Se quello che mi è sembrato di comprendere dalle sorgenti della bellezza non è un'illusione bisognerebbe non tanto accettare la contraddizione che regola la nostra vita ma entrarvici, condursi fino al suo punto più estremo, ovvero vivere adorando la bellezza quanto più ardentemente tanto più è fragile, in quel luogo in cui ci sono più gioie perché ci sono più minacce.